12/12/20

Kim Ki-duk. Cattività e bellezza


«Spazio e cattività sono i due temi ricorrenti nella mia opera» osservò in un’intervista Kim Ki-duk. In diversi suoi film, come Soffio (2007) e Il prigioniero coreano (2016), la connessione tra i due temi appare evidente nel motivo di uno spazio chiuso e claustrofobico che diventa per l’uomo una prigione. In altri film, tra cui L’arco (2005) e L’isola (2000) – il suo primo grande successo internazionale –, un’espressione maggiormente metaforica del medesimo legame è fondata sul simbolo dell’acqua e sul suo potere di isolare le persone, trasformandole in monadi. La cella in cui viene rinchiuso il ragazzo di Ferro 3 – La casa vuota (2004), e in generale tutti gli interni del film, ovvero le case che l’innominato protagonista abita nel silenzio, in assenza e all’insaputa dei rispettivi proprietari, esplorano una dimensione di isolamento e prigionia ancora più irreale, nella quale e attraverso la quale lo spazio diviene occasione di passaggio, di scomparsa e di metamorfosi.

09/11/20

Una biblioteca grande come il mondo


È un pomeriggio di agosto del 2019, poco dopo l’ora di pranzo, quando una passeggiata nel parco di Ueno sotto il sole cocente mi porta all’ingresso della International Library of Children’s Literature di Tokyo, in un’area dall’impressionante densità di verde, templi buddhisti e musei di ogni genere (si va dall’arte antica del Tokyo National Museum a quella contemporanea del Tokyo Metropolitan Art Museum, dalle opere occidentali del National Museum of Western Art alla scienza del National Museum of Nature and Science).

23/10/20

Un sogno rodariano


Cade oggi il centenario della nascita di Gianni Rodari, e stanotte, anzi questa mattina, ho fatto un sogno che vorrei condividere perché mi sembra deliziosamente rodariano, incentrato sul mistero di un libro-viaggio. L’immagine del groviglio di fili deriva forse dalle Favole al telefono, mentre l’idea delle strade che vanno da una pagina all’altra mi ha fatto venire in mente Scompiripiglio (Topipittori). La cosa curiosa è che cercando in rete il titolo del libro in questione, Google mi suggerisce una risposta degna di Freud. (Nella foto: la favola probabilmente responsabile di tutto ciò.)

14/09/20

Gianni Rodari. Dove finiscono le favole senza fine


A un bambino dei nostri giorni il titolo Favole al telefono deve sembrare qualcosa di incredibilmente inattuale, quasi quanto quello delle Favole al telefonino con cui Fabian Negrin ha omaggiato il capolavoro rodariano nel 2010, a quasi cinquant’anni dalla sua uscita (1962). Oggi il termine telefonino è sempre meno utilizzato, forse perché chiunque si è reso conto che gli oggetti che teniamo con noi la maggior parte del tempo sono solo accidentalmente dei piccoli telefoni, e nonostante le inesauribili possibilità di comunicazione sembrano incapaci di restituire la strana sensazione di prossimità caratteristica di una telefonata.

Le corrispondenze imperfette di Gilberto Severini


In “Primi passi”, il terzo racconto della raccolta Quando Chicco si spoglia sorride sempre da poco ripubblicata da Playground (con lievi correzioni stilistiche apportate all’edizione Rizzoli del 1998), c’è una scena a mio parere perfetta per introdurre un discorso sulla prosa di Gilberto Severini, che nel panorama letterario italiano degli ultimi decenni spicca per grazia, equilibrio e limpidezza. Il narratore sta rievocando i pomeriggi dell’adolescenza trascorsi assieme ad altri ragazzi nella grande casa di un amico che faceva loro da insegnante di ballo, in previsione dei futuri appuntamenti danzanti con le coetanee. Dopo le lezioni di prova, prima senza musica e poi con l’accompagnamento del giradischi (siamo alla fine degli anni ’50), il racconto si sofferma sull’insegnamento più difficile da padroneggiare, che per i ragazzi rappresenta il culmine del percorso di apprendistato.