23/10/20

Un sogno rodariano


Cade oggi il centenario della nascita di Gianni Rodari, e stanotte, anzi questa mattina, ho fatto un sogno che vorrei condividere perché mi sembra deliziosamente rodariano, incentrato sul mistero di un libro-viaggio. L’immagine del groviglio di fili deriva forse dalle Favole al telefono, mentre l’idea delle strade che vanno da una pagina all’altra mi ha fatto venire in mente Scompiripiglio (Topipittori). La cosa curiosa è che cercando in rete il titolo del libro in questione, Google mi suggerisce una risposta degna di Freud. (Nella foto: la favola probabilmente responsabile di tutto ciò.)

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È stato ristampato dopo molto tempo un libro che si dice eserciti poteri soprannaturali sulla vita delle persone che lo leggono. È un albo illustrato per bambini dell’epoca di Walter Benjamin, di cui ad esempio si racconta che abbia portato un uomo a cominciare a guidare in tarda età, dopo che per tutta la vita non aveva mai voluto saperne di automobili. L’interpretazione più accreditata del suo bizzarro titolo, Senza le i davanti, si riferisce a un passato mitico in cui il nome di ogni cosa, non si sa per quale ragione, era preceduto dalla lettera “i”, ma il ragionamento opposto, coniugato al futuro, ha portato altri studiosi a definirlo un libro profetico sulle tecnologie informatiche. In copertina figura il disegno stilizzato di un albero su sfondo bianco avorio, vagamente simile a un geroglifico. Quando ne parlo coi miei amici, ammetto che in fondo credo all’esistenza di forze che non possiamo comprendere, pur trovando assurda l’idea che queste forze siano racchiuse nella forma segmentata e impacchettata di un libro (cito testualmente).

Sono in viaggio con un bambino conosciuto in una scuola della quale ricordo solo un particolare momento della giornata, durante la ricreazione in cortile: sotto il porticato gli alunni mi mostrano le loro fotografie appese su un muretto, specialmente quelle dove compaio insieme a loro. Il bambino dorme quasi tutto il tempo e quando si sveglia si diverte a infastidirmi per gioco, chiedendomi quanto manca all’arrivo o lamentandosi perché sta scomodo o si annoia. Anche lui possiede il libro, ma in una versione elettronica che sfoglia sul tablet, mentre io ne studio le regole sull’edizione cartacea. La storia consiste nell’esperienza di un viaggio che si compie anche in punta di dita, facendo scorrere l’indice sui vari tracciati colorati che vanno da una pagina all’altra. All’inizio c’è una pagina di prova, con un groviglio di fili che si snodano da ognuno dei personaggi disponibili: si segue col dito il percorso selezionato, e alla fine, in base alla meta raggiunta, si scopre in quale punto comincerà il viaggio. Il mio personaggio è un ragazzino con in testa un cappuccio a forma di fungo, ma ci dev’essere un errore perché il suo filo, invece di raggiungere una meta, esce dal foglio in una strisciolina di carta che mi finisce tra le dita. E ora?

Sono all’aeroporto con mio fratello, nell’area delle partenze. Non trovo il mio lasciapassare, che dovrebbe essere una scatoletta elettronica grande come il palmo della mia mano. Quella che mostro ai controlli è nera, mentre ne serve una azzurra. Frugo in fondo alle tasche, mi tolgo il cappotto, cerco nello zaino, finché un addetto alla sicurezza non mi porge la scatoletta azzurra saltata fuori all’improvviso da chissà dove. All’uscita dell’aeroporto, nell’area degli arrivi, scopro però che quel tipo di lasciapassare è valido solo alla partenza, mentre ora, per superare i tornelli, è necessario che presenti una scatoletta elettronica che fa “bip”, di colore nero, sicuramente dimenticata sul tavolo della sala dei controlli di sicurezza dell’altro aeroporto.