08/04/21

«Minari» di Lee Isaac Chung. Il linguaggio ritrovato


Il linguaggio non è della lingua, ma del cuore.
La lingua è solo lo strumento con il quale parliamo.
(Paracelso)

Con ben sei candidature agli Oscar 2021 (miglior film, regia e sceneggiatura, miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista, migliore colonna sonora), Minari di Lee Isaac Chung si conferma uno dei film più interessanti e chiacchierati di questa travagliata stagione di cinema, e non solo per motivi inerenti all’opera in sé e per sé.

16/04/20

Gli amori immaginari di Kim Ki-duk


Lo scorso gennaio, durante la cerimonia dei Golden Globe, Bong Joon-ho ha esortato il pubblico americano a «superare la barriera dei sottotitoli» per scoprire il meglio del cinema straniero, con parole che possono essere lette come un invito a sorpassare una soglia testuale, sede di differenze (e diffidenze) linguistiche ma anche culturali, oltre la quale l’esperienza della visione rivela la sua essenza universale: «I think we use only just one language: the cinema». Sulla rivista britannica Sight and Sound, commentando la scelta di affidare a Bong Joon-ho il ruolo di guest editor del numero di marzo, l’editoriale di Mike Williams richiama proprio questo concetto, e si riferisce al regista coreano come a uno dei «visionari più creativi» del cinema contemporaneo. Bong Joon-ho, dal canto suo, ha compilato una lista di venti registi emergenti intitolata “20/20 Vision”, introdotta da un’affermazione sorprendente: «Già nel vedere il secondo film di Wong Kar-wai, Days of Being Wild (1990), abbiamo forse potuto sognare nelle nostre menti In the Mood for Love (2000)».

05/12/19

L’occhio del figlio, l’immagine del padre


Il termine “metaforico” è ripetuto più volte in Parasite (2019) di Bong Joon-ho, e riporta alla mente l’immagine delle serre bruciate in Burning (2018) di Lee Chang-dong – un altro film coreano ispirato a un racconto di Haruki Murakami –, o quella del misterioso elefante di An Elephant Sitting Still (2018) di Hu Bo. La metafora è una figura di confine tra presenza e assenza, reale e immaginario: deriva almeno in parte da una finzione, ma allude sempre a una particolare verità. In diversi film rappresentativi delle più importanti tradizioni cinematografiche asiatiche degli ultimi decenni – dal nuovo cinema di Hong Kong a quello taiwanese, passando per il Giappone, la Cina e la Corea del Sud –, espedienti come il ricorso a oggetti simbolici o medium iconici sono impiegati con grande coerenza per esprimere gli aspetti più nascosti di certe dinamiche sociali e familiari.