24/12/22

Un’introduzione agli apocrifi di Stanisław Lem

I varchi che si susseguivano, sempre più interni, i passaggi accuratamente sorvegliati, dapprima definiti da un nome palese nella più umile lingua impiegatizia, poi conosciuti soltanto per allusioni cifrate, iniziavano lentamente e ineluttabilmente a edificare una forma che si delineava dal nulla. La Costruzione delle Costruzioni, un Castello inconcepibilmente Alto, con all’Interno un Segreto mai nominato neppure in un impeto di massima audacia, a cui si sarebbe potuto, una volta attraversate tutte le strade, le soglie e le sentinelle, esibire i documenti! (Stanisław Lem, Il castello alto)

In un passo molto interessante del saggio Sulla mia vita (1983), Stanisław Lem riflette su quanto il suo metodo di scrittura si sia modificato nel corso degli anni, influenzando la tipologia stessa delle sue opere letterarie. L’evoluzione descritta corrisponde a un progressivo allontanamento da una prassi di creazione spontanea e dalle convenzioni romanzesche della fantascienza, che a suo parere ha elaborato con risultati mediocri nella prima fase della carriera e poi perfezionato nella seconda fase, in opere come Solaris (1961) e L’Invincibile (Niezwyciężony, 1964), approdando «ai confini di un ambito che era già quasi esaurito».

Una raccolta di recensioni a libri immaginari, Vuoto assoluto (Doskonała próżnia, 1971), inaugura la terza fase della sua carriera in un territorio ibrido che coniuga la finzione letteraria alla speculazione saggistica, di cui Lem si è occupato a fondo in opere come Dialogi (1957) e Summa Technologiae (1964). L’avvio di questa stagione, come nota l’autore, consegue dalla ricerca di modalità espressive inedite e dalla raccolta di materiale propedeutico allo sviluppo di creazioni future, alimentata dalla lettura e dalla scrittura di saggi scientifici, ma che a sua volta ha finito per modellare nuove forme sperimentali di letteratura.
Ho smesso di sedermi davanti alla macchina da scrivere avendo già pronto, per quanto breve, l’inizio di un libro; sempre più invece annoto osservazioni, parole inventate o altre piccole trovate; questo costituisce la base del mio metodo attuale: cioè ora cerco di entrare in confidenza col mondo che ancora devo creare istituendo una “letteratura specifica”. Non si tratta però di manuali completi o della sociologia e cosmologia ad esempio del trentesimo secolo, ma neanche di resoconti fittizi di campagne di ricerca o di altri tipi di letteratura in cui trova espressione lo “spirito” di un mondo per noi estraneo […]. No, l’idea concepita dapprima per scherzo di scrivere critiche, recensioni o introduzioni a libri che non esistono […] non aveva come scopo primario la pubblicazione, bensì la creazione di una sorta di bibliografia a mio esclusivo consumo su un certo mondo e la possibilità di schizzarne i primi tratti per poi portarlo a compimento. Mi circondo, in un certo senso, della letteratura del futuro, di un altro mondo, di un’altra civiltà e dei testi che ne sono il prodotto, lo specchio e la raffigurazione. (Micromondi, pp. 20-21)

Lem osserva inoltre che questo passaggio dalla forma romanzesca a tipologie sperimentali, nelle quali la mediazione di documenti apocrifi sostituisce il punto di vista onnisciente del narratore tradizionale, rievoca una proposta avanzata da Michel Butor in un suo celebre saggio, La crisi di crescenza della fantascienza (1953). Per rimediare a una condizione di stallo in cui pareva essersi arenato l’immaginario fantascientifico, ricorda Lem, Butor suggeriva di invitare un team di autori a cooperare alla costruzione di un mondo fittizio «affinché essi viribus unitis coniassero la sua storia […], la sua cultura, i suoi sistemi filosofici, ecc.». Secondo l’ipotesi di Butor, soltanto dal rigore di un’opera che concentrasse gli sforzi di più autori su un obiettivo comune sarebbe nata una nuova fantascienza comparabile per forza e incisività alle antiche mitologie.

Lem ammette che quando lesse questa proposta non la prese sul serio, e che solo molti anni più tardi – ovvero con le recensioni immaginarie di Vuoto assoluto – cercò di mettere in pratica l’intuizione di Butor, sebbene individualmente. Ancora prima dell’effettiva creazione di una biblioteca del futuro attraverso testi apocrifi, del resto, è possibile scorgere alcuni segnali che puntano in questa direzione anche nella seconda fase della sua carriera, alla quale appartengono alcuni dei suoi romanzi più rappresentativi.



[Continua su IF28 - Stanisław Lem, a cura di Tomasz Skocki, Odoya 2022]