01/11/22

Koreeda Hirokazu. Appunti d’autore


In occasione dell’uscita nelle sale italiane dell’ultimo film di Koreeda Hirokazu, Broker - Le buone stelle, ho condiviso sul mio profilo Facebook alcuni appunti sulla sua filmografia tratti dal libro Quand je tourne mes films (Atelier akatombo, 2019), inedito in Italia. Ho scelto in particolare sette suoi film, cercando di privilegiare i miei preferiti e di dare spazio ai suoi primi lavori, meno noti in Italia ma molto significativi. Trascrivo gli appunti anche su questa pagina, per chiunque fosse interessato ad approfondire la conoscenza di questo grande regista contemporaneo.

24/10/22

Natività senza famiglia. «Broker» di Koreeda Hirokazu


Una domanda che echeggia più o meno silenziosa in molti film di Koreeda Hirokazu può essere espressa nella sua forma più semplice con queste parole: cos’è una famiglia? In Maborosi (1995), il suo lungometraggio d’esordio tratto da un racconto di Miyamoto Teru, questa domanda inespressa accompagna una giovane madre nei mesi successivi all’inspiegabile suicidio del compagno: è una domanda muta, lontanissima, che col passare del tempo affiora nel flusso dell’impermanenza, legata al mistero della memoria come al progetto di una nuova vita. In Nobody Knows (Nessuno lo sa, 2004), il suo capolavoro liberamente ispirato a un tragico fatto di cronaca, la stessa domanda aleggia su un gruppo di bambini abbandonati dalla madre, che a Tokyo, nella più completa invisibilità, imparano a sopravvivere confidando nella responsabilità del fratello maggiore e nella loro solidarietà fraterna.

22/02/21

[Un secolo di bambini] L’infanzia al cinema: 2000–2021


Cento anni fa, nel 1921, usciva nelle sale The Kid, il primo lungometraggio scritto, diretto, prodotto e interpretato da Charlie Chaplin, col piccolo Jackie Coogan nel ruolo di un bambino abbandonato dalla madre e allevato da un vagabondo. Il titolo con cui il film venne distribuito in Italia, Il monello, non rende giustizia all’importanza storica e simbolica della pellicola: Jackie Coogan fu soltanto l’ennesimo di una fitta schiera di monelli a comparire sullo schermo, ma la centralità del suo ruolo e la profondità della pellicola fanno pensare al suo personaggio come al primo Bambino della storia del cinema, all’origine della scoperta dell’infanzia come motivo cinematografico complesso («A picture with a smile – and perhaps, a tear» recita la didascalia di apertura).

05/12/19

L’occhio del figlio, l’immagine del padre


Il termine “metaforico” è ripetuto più volte in Parasite (2019) di Bong Joon-ho, e riporta alla mente l’immagine delle serre bruciate in Burning (2018) di Lee Chang-dong – un altro film coreano ispirato a un racconto di Haruki Murakami –, o quella del misterioso elefante di An Elephant Sitting Still (2018) di Hu Bo. La metafora è una figura di confine tra presenza e assenza, reale e immaginario: deriva almeno in parte da una finzione, ma allude sempre a una particolare verità. In diversi film rappresentativi delle più importanti tradizioni cinematografiche asiatiche degli ultimi decenni – dal nuovo cinema di Hong Kong a quello taiwanese, passando per il Giappone, la Cina e la Corea del Sud –, espedienti come il ricorso a oggetti simbolici o medium iconici sono impiegati con grande coerenza per esprimere gli aspetti più nascosti di certe dinamiche sociali e familiari.

13/11/19

A scuola in Giappone. Una sbirciata sull’altro mondo


Il mio compagno di tavola, un bambino giapponese di otto anni, sta leggendo Tintin. È ora di pranzo, e mentre altri bambini preparano le porzioni l’aula è già diventata una mensa, con tutto l’occorrente disposto in ordine sui banchi raggruppati a isole. Il mio vicino ha invece il turno da cameriere, ma è la sua tovaglietta piena di treni a preannunciarmi il sogno che mi racconterà a breve, e che alla parola shinkansen mi richiamerà alla mente i due fratellini dello splendido I Wish (2011) di Hirokazu Koreeda, regista che in molti film ha dato voce al mondo dell’infanzia con rara sensibilità.