09/01/23

Mattatoio n.5: Vonnegut a fumetti


In un discorso tenuto nel 2019, per il cinquantesimo anniversario di Mattatoio n.5 (1969), Salman Rushdie accostò il romanzo di Kurt Vonnegut a Catch-22 (1961) di Joseph Heller, ed entrambi alla guerra in Vietnam. Due romanzi che descrivevano gli orrori della seconda guerra mondiale, ricordò infatti, attrassero a quel tempo un pubblico di lettori che seguivano con enorme preoccupazione lo svolgersi dell’ennesima escalation di violenza. Entrambi i romanzi vennero letti anche in relazione a tale conflitto, e in essi il racconto della guerra passata si rendeva comunicabile e sovrapponibile al presente grazie alla maschera della commedia: da un lato la follia farsesca di Heller, che Rushdie paragona a Charlie Chaplin; dall’altro l’umorismo nero di Vonnegut, più simile nel suo tono malinconico a un Buster Keaton. Ma ciò che davvero accomuna i due libri, afferma Rushdie, è la rappresentazione di un mondo «che ha perso la testa, nel quale i bambini sono mandati a fare il lavoro degli uomini e a morire».
 

24/12/22

Un’introduzione agli apocrifi di Stanisław Lem

I varchi che si susseguivano, sempre più interni, i passaggi accuratamente sorvegliati, dapprima definiti da un nome palese nella più umile lingua impiegatizia, poi conosciuti soltanto per allusioni cifrate, iniziavano lentamente e ineluttabilmente a edificare una forma che si delineava dal nulla. La Costruzione delle Costruzioni, un Castello inconcepibilmente Alto, con all’Interno un Segreto mai nominato neppure in un impeto di massima audacia, a cui si sarebbe potuto, una volta attraversate tutte le strade, le soglie e le sentinelle, esibire i documenti! (Stanisław Lem, Il castello alto)

In un passo molto interessante del saggio Sulla mia vita (1983), Stanisław Lem riflette su quanto il suo metodo di scrittura si sia modificato nel corso degli anni, influenzando la tipologia stessa delle sue opere letterarie. L’evoluzione descritta corrisponde a un progressivo allontanamento da una prassi di creazione spontanea e dalle convenzioni romanzesche della fantascienza, che a suo parere ha elaborato con risultati mediocri nella prima fase della carriera e poi perfezionato nella seconda fase, in opere come Solaris (1961) e L’Invincibile (Niezwyciężony, 1964), approdando «ai confini di un ambito che era già quasi esaurito».

26/11/22

Un omaggio a Charles M. Schulz: Replica van Pelt


[Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su Doppiozero il 23/11/2022.]

A prima vista questo bimbo sembrerebbe una specie di Linus in miniatura, una copia del suo fratello maggiore, o meglio una Replica (Rerun), come l’ha chiamato delusa Lucy, desiderosa di una sorellina, nell’anno della sua nascita (1972). In mancanza di un nome proprio porterà sempre questo nomignolo, spesso tra virgolette, perché «tutti mi chiamano così», e per più di due decenni sarà solo una rara comparsa, nonché un personaggio che il suo stesso creatore, incerto sul ruolo da attribuirgli, finì per ritenere uno sbaglio – almeno finché il tempo non lo ricompensò con uno splendido riscatto.
 

01/11/22

Koreeda Hirokazu. Appunti d’autore


In occasione dell’uscita nelle sale italiane dell’ultimo film di Koreeda Hirokazu, Broker - Le buone stelle, ho condiviso sul mio profilo Facebook alcuni appunti sulla sua filmografia tratti dal libro Quand je tourne mes films (Atelier akatombo, 2019), inedito in Italia. Ho scelto in particolare sette suoi film, cercando di privilegiare i miei preferiti e di dare spazio ai suoi primi lavori, meno noti in Italia ma molto significativi. Trascrivo gli appunti anche su questa pagina, per chiunque fosse interessato ad approfondire la conoscenza di questo grande regista contemporaneo.

24/10/22

Natività senza famiglia. «Broker» di Koreeda Hirokazu


Una domanda che echeggia più o meno silenziosa in molti film di Koreeda Hirokazu può essere espressa nella sua forma più semplice con queste parole: cos’è una famiglia? In Maborosi (1995), il suo lungometraggio d’esordio tratto da un racconto di Miyamoto Teru, questa domanda inespressa accompagna una giovane madre nei mesi successivi all’inspiegabile suicidio del compagno: è una domanda muta, lontanissima, che col passare del tempo affiora nel flusso dell’impermanenza, legata al mistero della memoria come al progetto di una nuova vita. In Nobody Knows (Nessuno lo sa, 2004), il suo capolavoro liberamente ispirato a un tragico fatto di cronaca, la stessa domanda aleggia su un gruppo di bambini abbandonati dalla madre, che a Tokyo, nella più completa invisibilità, imparano a sopravvivere confidando nella responsabilità del fratello maggiore e nella loro solidarietà fraterna.