09/01/23

Mattatoio n.5: Vonnegut a fumetti


In un discorso tenuto nel 2019, per il cinquantesimo anniversario di Mattatoio n.5 (1969), Salman Rushdie accostò il romanzo di Kurt Vonnegut a Catch-22 (1961) di Joseph Heller, ed entrambi alla guerra in Vietnam. Due romanzi che descrivevano gli orrori della seconda guerra mondiale, ricordò infatti, attrassero a quel tempo un pubblico di lettori che seguivano con enorme preoccupazione lo svolgersi dell’ennesima escalation di violenza. Entrambi i romanzi vennero letti anche in relazione a tale conflitto, e in essi il racconto della guerra passata si rendeva comunicabile e sovrapponibile al presente grazie alla maschera della commedia: da un lato la follia farsesca di Heller, che Rushdie paragona a Charlie Chaplin; dall’altro l’umorismo nero di Vonnegut, più simile nel suo tono malinconico a un Buster Keaton. Ma ciò che davvero accomuna i due libri, afferma Rushdie, è la rappresentazione di un mondo «che ha perso la testa, nel quale i bambini sono mandati a fare il lavoro degli uomini e a morire».
 
Rushdie aveva ventidue anni nel 1969, anno in cui uscì Mattatoio n.5 e che segnò un picco nelle proteste contro la guerra in Vietnam da parte della società americana; e ventidue anni aveva Vonnegut nel 1945, quando venne fatto prigioniero e sopravvisse al bombardamento che rase al suolo la città di Dresda, rifugiatosi assieme ad altri soldati e alle guardie nella cantina del macello in disuso dov’era stato imprigionato. Trasposta nel romanzo, questa esperienza costituisce il nucleo di Mattatoio n.5, ma solo una piccola parte della storia di Billy Pilgrim, protagonista e alter ego dell’autore che «si è staccato dal tempo» (has come unstuck in time), ovvero è in grado di rivivere in continuazione momenti della sua vita passata e futura, comprese la propria nascita e la propria morte, o il rapimento alieno che espande i confini dell’opera ai territori della fantascienza.



Credo che l’idea di trasporre in graphic novel un romanzo così unico e difficilmente adattabile (come dimostrano il mediocre film diretto nel 1972 da George Roy Hill, o il più recente progetto di Guillermo del Toro e Charlie Kaufman di cui si parla da una decina d’anni, a quanto pare naufragato) tragga senso e interesse soprattutto dalle implicazioni di questo versante fantascientifico, e in particolare dall’intuizione di un tempo in cui passato, presente e futuro non solo coesistono in eterno, ma sono visualizzabili simultaneamente in un medesimo spazio, come sulla tavola di un fumetto. Già nel romanzo di Vonnegut, del resto, questa intuizione è legata all’esistenza di una letteratura aliena che adopera simboli, spazi e immagini al posto delle parole. Durante il viaggio verso il pianeta Tralfamadore, Billy riesce a farsi mostrare dai suoi rapitori extraterrestri alcune opere di questa letteratura, e nota che il loro linguaggio si compone di «gruppetti di simboli separati da stelle», simili a telegrammi. «Noi tralfamadoriani li leggiamo tutti in una volta, non uno dopo l’altro» gli spiega una voce da un altoparlante. «Non c’è alcun rapporto particolare tra i messaggi, se non che l’autore li ha scelti con cura in modo che, visti tutti insieme, producano un’immagine della vita che sia bella, sorprendente e profonda. Non c’è principio, parte di mezzo o fine, non c’è suspence, né morale, né cause ed effetti».

E se le opere tralfamadoriane, così dissimili dai romanzi che conosciamo, fossero davvero qualcosa di più affine al linguaggio del fumetto, o almeno prefigurassero alcune potenzialità di questo linguaggio? A raccogliere la sfida di una versione graphic novel di Mattatoio n.5 sono lo scrittore Ryan North e l’illustratore Albert Monteys, autori non molto noti al grande pubblico, ma che vantano prestigiosi riconoscimenti e collaborazioni: North per la Marvel e per i fumetti di Adventure Time, Monteys come direttore della rivista satirica spagnola El Jueves e per l’antologia di storie fantastiche Universo!, che Tunué ha cominciato a tradurre in italiano. Questa versione a fumetti di Mattatoio n.5, pubblicata in Italia da Bompiani con traduzione di Vincenzo Mantovani, è nelle parole di North un tentativo di consegnare il romanzo a un linguaggio nuovo, ma senza dare al lettore l’impressione di un adattamento forzato: «Il nostro obiettivo era fare in modo che sembrasse scritto in origine come un fumetto, farlo sentire in questo medium come a casa. Non è un romanzo in prosa stipato in riquadri con alcune immagini aggiunte, ma una versione della stessa storia che vive all’interno dei fumetti».



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