05/08/14

Treni fantastici dell’Est: letteratura, manga e anime


Alla fine del XIX secolo, in un mondo in rapida evoluzione e sempre più rivolto all’Occidente industriale, il treno entra a far parte dell’immaginario moderno giapponese come simbolo di rinnovamento e veicolo di una nuova visione progressiva dell’esperienza. Al 1872 risale l’inaugurazione della prima linea ferroviaria in Giappone; negli stessi anni la letteratura orientale si cimenta nel racconto del viaggio in treno, adoperandolo come metafora del divenire ed immagine altamente significativa di un mutato rapporto tra l’individuo, lo spazio ed il tempo.

Un viaggio in treno apre uno dei più celebri romanzi di formazione giapponesi, Sanshiro (1908) di Sōseki Natsume, storia di uno studente universitario che dalla campagna si trasferisce a Tokyo, dove viene a contatto con la realtà contraddittoria della grande metropoli. Botchan (1906), dello stesso autore, presenta il percorso inverso: il giovane professore protagonista lascia Tokyo e raggiunge in treno la più tradizionale Matsuyama. Nella coscienza comune il treno è un segno di transizione, che assomma in sé le idee di rinascita e rottura: in esso l’uomo intravede la promessa di un futuro migliore, ma anche le spoglie di un mondo antico sul punto di scomparire. Nelle più riuscite trasposizioni letterarie, oltre allo spostamento spaziale di luogo in luogo, il viaggio in treno corrisponde ad un passaggio temporale da un’età della vita all’altra. Oltre i confini della rappresentazione oggettiva della realtà, poi, l’immaginario del treno estende i propri orizzonti verso i territori del poetico e del fantastico.

Kiichi Okamoto, Il piccolo maestro (1925)

Shiro Kawakami, Il viaggio degli insetti (1927)

Alcuni spunti fantastici sul tema del viaggio in treno compaiono nei primi decenni del XX secolo nella letteratura per l’infanzia giapponese: in un racconto di Haruo Satō, Inago no Dairyokô (1926), un uomo scorge una locusta sul sedile di un treno e immagina la meraviglia dell’insetto che si trova a compiere un lungo viaggio, paragonandola a quella di una persona che abbia l’occasione di girare il mondo intero; Una notte sul treno della Via Lattea (Ginga tetsudō no yoru), il capolavoro di Kenji Miyazawa scritto a partire dal 1924 e pubblicato postumo nel 1934, narra di un viaggio fantastico, insieme meraviglioso e malinconico, a bordo di un treno diretto agli estremi confini della galassia.

L’autore, scrittore di fiabe e poesie nato nel 1896, aveva assistito all’età di otto anni alla morte per annegamento di un bambino, e nel 1922 aveva compiuto un viaggio in treno verso l’isola Sakhalin, nell’oceano Pacifico settentrionale, a seguito della perdita della sorella Toshi. Ispirato in larga misura al ricordo di tali esperienze autobiografiche, Una notte sul treno della Via Lattea si presenta al tempo stesso come un racconto edificante e suggestivo per bambini e una meditazione profonda sul tema del viaggio e della morte. Il protagonista, Giovanni, è un bambino solitario e spesso deriso dai compagni di scuola, tra cui conta un solo vero amico di nome Campanella (come il Tommaso che concepì l’utopia de La città del Sole). Di giorno, durante una lezione di astronomia, Giovanni è distratto dal pensiero del padre, impegnato in una spedizione all’estremo Nord; di sera il bambino non può trattenersi coi suoi amici alla festa del paese perché deve procurare del latte alla madre malata. La stessa sera, disteso sulla cima di una collina, Giovanni si trova di colpo seduto assieme a Campanella sul vagone di un treno che attraversa le “praterie del cielo”. Il viaggio, scandito da visioni fantasmagoriche e mistiche, prosegue con l’arrivo sul treno di una coppia di bambini – fratello e sorella – annegati in un naufragio, e si conclude per Giovanni con un incredulo risveglio sulla collina: il paese è in fermento presso il fiume, dove il suo amico Campanella è annegato la sera stessa.

In un passo precedente del racconto Giovanni ricorda il trenino giocattolo alimentato ad alcol che l’amico gli aveva mostrato a casa sua; durante il viaggio fantastico attraverso la Via Lattea, guardando fuori dal finestrino, è stupito di constatare che il treno non va a vapore, ma – come ipotizza Campanella – ad alcol o a corrente elettrica.
Rokuro Taniuchi
In un disegno di Rokuro Taniuchi (1921-81), illustratore giapponese che predilige l’infanzia e la commistione tra quotidiano e fantastico, assistiamo allo stesso corto circuito per cui il tram giocattolo nella mano di un bambino è lo stesso tram che contiene lo stesso bambino in miniatura. Ad essere rappresentata, in entrambi i casi, non è solo la logica del gioco infantile e dell’immaginazione, bensì una dimensione dell’esistenza che trascende l’esperienza comune in un aldilà – qualunque sia la sua accezione – tangibile per mezzo dell’arte. Giovanni si trova all’improvviso immerso in quello che chiama lo “spazio della quarta dimensione”, un mondo in cui determinati oggetti della sua vita quotidiana – il trenino ad alcol di Campanella, la Via Lattea di cui aveva parlato a scuola il maestro, la mappa delle costellazioni, le pietre preziose viste in una vetrina – si ripresentano a lui trasfigurati e organizzati in una nuova sintesi, non diversamente da quanto avviene nei sogni. Più che un carattere onirico, tuttavia, il suo viaggio rivela una natura essenzialmente spirituale: si tratta con evidenza di un viaggio ultraterreno verso l’aldilà, cui Giovanni partecipa in veste di spettatore per accompagnare l’amico da cui deve congedarsi, che come il bardo tibetano – lo stato della coscienza intermedio tra morte e rinascita –, si svolge in un regno di visioni variopinte e abbaglianti. Lo stesso immaginario del treno, permeato da questa visione spirituale, viene a mutare di aspetto e valore: simile alle rotaie circolari di un ferrovia giocattolo, il percorso del treno della Via Lattea cessa di essere progressivo e diventa ciclico, quasi ad imitazione del Samsara tibetano – il circolo continuo di vita, morte e rinascita raffigurato come una ruota.

La dottrina buddhista ispira all’opera ulteriori motivi e insegnamenti: la considerazione dell’illusorietà del reale, il riconoscimento di una dimensione più elevata rispetto a quella terrena e il tema della serena accettazione del destino che accomuna ogni essere umano. Il viaggio, in questo modo, costituisce anche e soprattutto un’occasione di riflessione e di ricerca interiore circa il senso della vita, così come il racconto, frutto del dolore conseguente all’esperienza della morte, trova la sua intonazione più emozionante e sincera in una domanda formulata più volte nel corso della storia: “In cosa consiste la vera felicità?”. La risposta dell’autore – non a caso incline a chiamare fiabe i suoi racconti – è data in modo implicito attraverso la narrazione: lo stupore sincero tipico dell’infanzia, la condivisione di una vita semplice, il valore dell’amicizia e la disponibilità al sacrificio sono alcuni dei suoi aspetti principali. La lezione morale e spirituale, supportata da un complesso sistema di immagini evocative (tra le quali la simbologia del latte è la più ricorrente), è coniugata alla semplicità e all’incisività narrativa tipica del racconto per l’infanzia senza che tra i due piani si crei un’interferenza: l’autore, del resto, disse di scrivere libri per bambini proprio perché essi, conservando la purezza d’animo che gli adulti hanno perduto, possono comprendere meglio di essi messaggi tanto profondi e universali.

Tre fotogrammi tratti da Taro’s toy train (1929).

Anche il cinema ed i fumetti giapponesi non sono rimasti indifferenti al tema del viaggio, e specificamente del viaggio in treno. Un cortometraggio del 1929 diretto da Chuzo Aoji e Yasuji Murata, Taro’s toy train (Tarô-san no kisha), narra la storia di un bambino che riceve per regalo un treno giocattolo. Una sequenza particolarmente suggestiva, realizzata con l’inserzione di un breve cartone animato, rappresenta il sogno del bambino che immagina il treno in viaggio con a bordo una grande varietà di creature animali antropomorfe. Ōshiro Noboru, pioniere della fantascienza nipponica a fumetti, pubblicò nel 1940 Spedizione su Marte (Kasei Tanken) e nel 1941 Il viaggio in treno (Kisha Ryokō).

Ōshiro Noboru: Spedizione su Marte (1940) e Il viaggio in treno (1941).

Le due tematiche portanti di questi titoli (avventura fantascientifica nello spazio; viaggio di formazione in treno) si trovano riunite a più di trent’anni di distanza in una celebre opera di Leiji Matsumoto: Galaxy Express 999 (Ginga Tetsudō Surī Nain), manga pubblicato dal 1977 al 1981 in 18 tankōbon (a cui si aggiunge una seconda serie pubblicata dal 1996 al 1999). La storia, ispirata ai manga di Ōshiro Noboru e a Una notte sul treno della Via Lattea di Kenji Miyazawa, si svolge nell’anno 2021 in un futuro distopico e ipertecnologico, dove alle persone benestanti è permesso acquisire una virtuale immortalità, grazie alla sostituzione dei loro corpi organici con corpi meccanici, e viaggiare per l’intera galassia sui treni di una rete ferroviaria interstellare. Tetsuro Hoshino, un bambino proveniente da una famiglia povera, viene a sapere da sua madre dell’esistenza di un pianeta dove chiunque può ricevere un corpo meccanico. Per raggiungere questo pianeta, situato ai confini ultimi della galassia, è necessario munirsi di un costoso biglietto che permette di salire a bordo del treno Galaxy Express 999. Una sera, mentre Tetsuro passeggia nella neve assieme alla madre, quest’ultima viene uccisa da una setta di uomini meccanici che collezionano corpi organici come fossero trofei. Un’esile, misteriosa ed eterea figura femminile, Maetel – sorta di fata turchina collodiana, il cui nome originale, Mēteru, deriva dal latino mater –, soccorre a quel punto il bambino, e poco dopo gli consegna un biglietto per il prestigioso Galaxy Express 999. Tetsuro Hoshino e Maetel si troveranno così ad affrontare un lungo e pericoloso viaggio nella galassia a bordo del treno, facendo tappa di volta in volta sui diversi pianeti che costituiscono le sue stazioni di fermata.

Galaxy Express 999 (1977) di Leiji Matsumoto.

Il viaggio nella galassia, a differenza del racconto di Kenji Miyazawa, non è incantato e intriso di una pacifica aura spirituale: nell’opera di Leiji Matsumoto si alternano ambienti claustrofobici, sterminati pianeti deserti e metropoli sovraffollate, dove a spiccare è sempre un’atmosfera cupa, desolata e disumana. Gli uomini sono raffigurati come bestie senza anima né scrupoli morali, disposte all’assassinio pur di conseguire un vantaggio economico e un corpo meccanico. D’altra parte, quando Tetsuro Hoshino e Maetel si imbattono in alcuni privilegiati che hanno barattato il proprio corpo organico con l’illusione dell’immortalità, apprendono il loro rimpianto per aver accettato un simile patto col diavolo. Nell’universo distopico di Galaxy Express 999 l’onnipresente tecnologia è rappresentata nei suoi aspetti deteriori, parossistici e disumanizzanti: lontana anni luce sembra essere l’idea che un tempo legava al treno speranze di progresso e di migliori condizioni sociali. La figura del treno nell’opera di Matsumoto è comunque ambivalente, e se non conserva tracce dell’antica utopia progressista ne propone un’immagine capovolta sotto il segno della nostalgia. Emblematico, in questo senso, è proprio l’aspetto del Galaxy Express 999: ad una tecnologia avanzatissima, occultata all’interno dell’inaccessibile e avveniristica sala comandi, si contrappongono l’esterno di una classica locomotiva a vapore e gli eleganti vagoni dal sapore rétro. Allo stesso modo, benché il viaggio di Tetsuro Hoshino si svolga nello spazio più remoto, il senso intimo della sua parabola sembra essere quello del ritorno.

Tre fotogrammi tratti dall’anime Galaxy Express 999 (1978).

La serie animata tratta dal manga di Matsumoto, trasmessa in Giappone dal 1978 al 1981, si compone di 113 episodi. Una serie animata trasmessa nel 2000 – Maetel Legend – e una seconda trasmessa nel 2004 – Space Symphony Maetel – sono concepite come antefatto della serie principale. Nel corso degli anni, inoltre, a partire dalla storia sono stati prodotti alcuni lungometraggi animati, tra cui Bonjour Galaxy Express 999 (1979) e Adieu, Galaxy Express 999 (1981), entrambi diretti da Rintaro (Shigeyuki Hayashi). Un esplicito omaggio a Galaxy Express 999 è poi tributato in forma di parodia nel diciassettesimo lungometraggio animato della celebre serie Doraemon di Fujiko Fujio, Doraemon: Nobita and the Galaxy Super-express (1996), diretto da Tsutomu Shibayama.

Anche il racconto di Kenji Miyazawa, Una notte sul treno della Via Lattea, è stato trasposto in un lungometraggio animato: Night on the galactic railroad (1985), diretto da Gisaburo Sugii e Arlen Tarlofsky. Il cambiamento più rilevante e controverso rispetto al racconto è la raffigurazione di Giovanni, Campanella e dei loro compagni di classe sotto le sembianze di gatti antropomorfi, sebbene altri personaggi – tra cui i due bambini annegati – conservino il loro aspetto umano. Secondo Gisaburo Sugii, la scelta sarebbe stata giustificata dal proposito di trasporre nel film l’aura magica e surreale caratteristica della storia di Miyazawa, estremamente difficile da rendere altrimenti.

Tre fotogrammi tratti dal lungometraggio animato Night on the galactic railroad (1985).

Il motivo del viaggio fantastico in treno si ritrova anche in uno dei più noti lungometraggi animati di Hayao Miyazaki, La città incantata (Sen to Chihiro no Kamikakushi, 2001), in una scena particolarmente evocativa in cui Chihiro, la bambina protagonista, sale a bordo di un misterioso treno che attraversa un panorama rurale simile ad un oceano d’acqua bassa, poiché bagnato dalla recente pioggia, ed è frequentato esclusivamente da spiriti solitari e taciturni. La scena, fortemente simbolica, rappresenta il passaggio per Chihiro dall’età dell’infanzia a quella della maturità (significativa è l’immagine di una bambina spirito senza volto, che Chihiro vede sulla banchina di una stazione prima che il treno si allontani) e corrisponde per diversi aspetti all’iconografia del viaggio nell’aldilà. In un’intervista Miyazaki ha sottolineato l’importanza della scena, confessando di aver voluto rievocare le sensazioni provate nel corso del suo primo viaggio in treno da solo e dicendo che in essa è contenuto a suo avviso il vero momento risolutivo del film.
«[…] Ciò che per me costituisce la fine del film è la scena in cui Chihiro prende il treno da sola. È lì che per me il film finisce. Ricordo la prima volta che ho preso il treno da solo e quali furono allora le mie emozioni. Per esprimere queste emozioni nella scena era importante eliminare la vista dai finestrini del treno, come ad esempio le montagne o una foresta. La maggior parte delle persone che ricordano la prima volta che hanno preso il treno da sole non ricordano assolutamente nulla del paesaggio fuori  dal treno, tanto erano concentrare sul viaggio in sé e per sé.» – Hayao Miyazaki

Hayao Miyazaki, La città incantata (2001)

In ciascuna delle opere prese in esame il motivo del viaggio in treno rivela un simbolismo complesso e dal significato non univoco. Il treno è anzitutto un simbolo di transizione e di passaggio, che può essere messo in relazione con l’esperienza umana e con le dimensioni spazio-temporali secondo varie prospettive. Nei primi decenni che seguirono la sua invenzione esso fu visto perlopiù come segno di progresso, ma col passare degli anni la sua natura è diventata più ambigua e condizionata dal particolare tipo di rappresentazione: se i treni moderni e all’avanguardia sono ancora legati all’idea di corsa verso il futuro, i modelli più antichi sono orientati al passato da un senso di nostalgia e di perdita. L’invenzione poetica e fantastica conosce inoltre soluzioni ibride che uniscono i due aspetti in immagini altamente suggestive: Kenji Miyazawa ha delineato il treno fantastico del suo racconto – capace di viaggiare attraverso la Via Lattea – sul modello di un trenino giocattolo, e allo stesso modo, giocando sulla contrapposizione tra interno ed esterno, Leiji Matsumoto ha fornito al suo treno intergalattico e ultratecnologico il rivestimento di un’antica locomotiva a vapore.

L’ambivalenza è un carattere fondamentale del simbolismo del treno, rintracciabile anche a prescindere dalle sue rappresentazioni artistiche e dato dalla coincidenza nella stessa immagine di valori antitetici. Visto dall’esterno il treno è soprattutto un corpo in movimento che tende ad una meta; visto dall’interno di un vagone, tuttavia, la sua natura è statica e somiglia più a quella di un grande contenitore o di un rifugio. Il viaggiatore non si muove autonomamente, ma si lascia condurre dal treno, e se non gettasse uno sguardo al finestrino è probabile che non avvertirebbe nemmeno il movimento nello spazio: la sua esperienza, in questo senso, coniuga al moto il riposo. La coincidenza di valori dinamici e progressivi (il movimento in avanti e la tensione verso la meta) e di valori statici e regressivi (il senso di contenimento e di riposo all’interno della vettura) determina l’ambivalenza fondamentale del simbolismo del treno. Nell’intervista citata in precedenza, Miyazaki fa riferimento all’opposizione tra il paesaggio in moto fuori dal treno e l’esperienza del viaggio in sé, ovvero all’interno del treno, per rendere l’idea di tale ambivalenza. Nella Città incantata, inoltre, si dice che il treno “viaggiava un tempo in entrambe le direzioni, ma ora soltanto in una direzione”, suggerendo che il suo percorso sia diventato circolare. Il dettaglio, presente anche nell’immagine della rotaia giocattolo del racconto di Kenji Miyazawa, è significativo ai fini della simbologia, perché mutando un percorso rettilineo in un percorso circolare trasforma anche l’idea sottesa al movimento: il viaggio in sé diviene rilevante più della meta, e concetti come andata e ritorno tendono a confondersi e a non avere più senso.


Consigli di lettura
La gran parte dell’opera di Kenji Miyazawa è pressoché sconosciuta al lettore italiano. Una notte sul treno della Via Lattea è stato tradotto in italiano da Giorgio Amitrano e pubblicato nel 1994 da Marsilio in un volume comprendente altri racconti dell’autore. Lo stesso volume ospita un’ottima introduzione di Giorgio Amitrano, particolarmente indicata per chi volesse conoscere più a fondo la poetica di Kenji Miyazawa. Un’altra raccolta di racconti, Il violoncellista Gōshu e altri scritti, è stata pubblicata nel 1996 da La Vita Felice. Due singoli racconti sono stati poi pubblicati sulla rivista di studi orientali Il Giappone: Le stelle gemelle (Futago no hoshi) (vol. XXXVII, 1997) e Il bambino oca (Kari no dōji) (vol. XXXVIII, 1998).
Galaxy Express 999 di Leiji Matsumoto è stato pubblicato in Italia da Planet Manga in 21 volumi, usciti dal 2005 al 2011. Un’analisi della simbologia dell’opera è contenuta in un saggio di Marco Pellitteri, Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation (1999).


Bibliografia
S. Natsume, Sanshiro, Venezia, Marsilio, 1990.
K. Miyazawa, «Una notte sul treno della Via Lattea» e altri racconti, Venezia, Marsilio, 1994.
L. Matsumoto, Galaxy Express 999, 1-21, Modena, Planet Manga, 2005-2011.
S. Natsume, Botchan, London, Penguin UK, 2012.


Filmografia
Taro’s toy train (Tarô-san no kisha), Chuzo Aoji, Yasuji Murata, Giappone, 1929. 
Galaxy Express 999 (Ginga Tetsudo 999), 1-113, Nobutaka Nishizawa, Giappone, 1978-81.
Bonjour Galaxy Express 999 (Ginga Tetsudo 999), Rintaro, Giappone, 1979.
Adieu, Galaxy Express 999 (Sayonara Ginga Tetsudo 999: Andromeda Shuchakueki), Rintaro, Giappone, 1981.
Night on the galactic railroad (Ginga Tetsudō no Yoru), Gisaburo Sugii, Arlen Tarlofsky, Giappone, 1985.
La città incantata (Sen to Chihiro no Kamikakushi), Hayao Miyazaki, Giappone, 2001.


Saggistica
G. Amitrano, Intr., in K. Miyazawa, «Una notte sul treno della Via Lattea» e altri racconti, Venezia, Marsilio, 1994.
S. Napier, The fantastic in modern japanese literature. The subversion of modernity, London, Routledge, 1996.
M. Pellitteri, Mazinga Nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake-generation, Roma, Castelvecchi, 1999.


Articoli sul web
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