12/03/19

I futuri paralleli di Olivier Schrauwen


[Una versione editata dell’articolo è stata pubblicata su Fumettologica il 28/2/2019.]

Il belga Olivier Schrauwen (1977) si è distinto nell’ultimo decennio come uno dei più interessanti autori di fumetti nel panorama contemporaneo, sia per le numerose collaborazioni con riviste alternative, sia perché i suoi lavori sono stati oggetto di importanti pubblicazioni e apprezzamenti critici. Art Spiegelman l’ha definito il fumettista più originale “dai tempi di Chris Ware o Ben Katchor”, e lo stesso Chris Ware ha segnalato la sua più recente raccolta di storie pubblicata da Fantagraphics, Parallel Lives (2018), come una delle tre migliori opere a fumetti dell’ultimo anno.

Schrauwen esordì con My Boy (2006), un raffinato esperimento di ripresa dello stile di Winsor McCay e delle atmosfere del fumetto statunitense di inizio ‘900 che è anche il suo unico volume ad essere stato tradotto in italiano (Il mio bimbo, Comma 22, 2009), poco dopo le due comparse dell’autore sulla rivista Canicola, rispettivamente nei numeri 6 (2008) e 8 (2009). Nel 2011 fu il turno di un’altra raccolta, The Man who Grew his Beard, che confermò l’eccentricità della sua ricerca stilistica, e di una rivisitazione senza parole del Libro della Giungla di Kipling (Le Miroir de Mowgli, 2011; poi Mowgli’s Mirror, 2015). La sua opera successiva, Arsène Schrauwen (2014), è un trittico di storie ambientate in età coloniale, sorprendente per il modo in cui riesce a contaminare i generi e i registri più vari – dal resoconto biografico all’avventura esotica e surreale, dalla storia d’amore alla commedia slapstick –, dando vita a una narrazione ricchissima di suggestioni dietro uno stile all’apparenza semplice.

Le sei storie di ispirazione futuristica e fantascientifica contenute in Parallel Lives, cinque delle quali sono state originariamente pubblicate tra il 2011 e il 2017 in antologie o volumetti a tiratura limitata, abbandonano il riferimento al passato coloniale e primo-novecentesco tipico dei lavori precedenti, ma non la loro vocazione sperimentale. La composizione schematica di molte tavole, la scarna precisione dei disegni spesso privi di sfondi e dettagli decorativi, o ancora l’impiego di una gamma di colori ristretta ma molto caratteristica sono solo alcuni dei più vistosi elementi stilistici che indicano una continuità con le ultime opere, e che colpiscono inoltre per la versatilità con cui in ogni storia diventano oggetto di sofisticate variazioni.

La tavola iniziale di Arsène Schrauwen (2014) e la copertina di Parallel Lives (2018).

L’idea stessa delle vite parallele che funge da raccordo per i vari racconti rielabora l’analogo espediente utilizzato nella saga di Arsène Schrauwen, dove il patto narrativo con il lettore era mediato dal ricordo di un personaggio che l’autore dichiarava essere suo nonno. Là, nell’iconica tavola di apertura, il fumettista mostrava al pubblico il proprio ritratto (in realtà molto diverso dal suo volto reale) accanto a quello del parente, sostenendo di aver ereditato da quest’ultimo il naso, gli occhi e il mento a fossetta. Ora, nel momento in cui lo stesso volto dall’espressione ebete e dalla bocca spalancata riappare moltiplicato sulla copertina di Parallel Lives e nelle sue storie, la finzione autobiografica diviene ancora più esplicita e pervasiva, perché distribuita su vari personaggi che a partire dal nome si rivelano essere altrettanti doppi dell’autore.

Un fumettista chiamato “O. Schrauwen”, il cui ritratto è identico a quello presente in Arsène Schrauwen, narra in “Greys” il proprio rapimento ad opera degli alieni. Lo stesso volto compare con piccole variazioni in “Hello”, storia di un geniale ma incompreso inventore chiamato Armand Schrauwen che ha costruito un apparecchio per trasmettere messaggi in diretta streaming nel futuro. La galleria di doppi prosegue poi con Oly, un uomo che installa sul proprio nanocomputer cerebrale un’applicazione per vedere il mondo come all’interno di un cartone animato (“Cartoonify”), con la cantante Ooh-lee Schrauwen, perseguitata invece da un misterioso troll che ha hackerato la sua mente (“The Scatman”), e con il signor Olver Schrauwen, ossessionato dalle ricorrenti apparizioni di un misterioso uomo giallo (“Mister Yellow”), per terminare infine con Olivier Schrauwen, esploratore spaziale risvegliatosi dopo 200 anni dalla sua ibernazione in una capsula criogenica (“Space Bodies”).

Come si può intuire anche solo dando una rapida scorsa alla trama delle storie, la scelta di un modello narrativo che fonde il resoconto autobiografico con il racconto di finzione, e per il quale l’editore ha proposto l’etichetta di speculative memoir, consente a Schrauwen una libertà creativa pressoché illimitata. In un’intervista rilasciata nel 2015 l’autore spiegava che ciò che cerca di ottenere attraverso questo tipo di narrazione, più che una parodia del genere autobiografico e dei suoi cliché, “è un modo per parlare di questioni personali e osservazioni che sia per me coinvolgente. Evitando un approccio accuratamente realistico all’autobiografia, rendendo la storia più libera, intuitiva, e persino permettendo il nonsense più totale, spero di incappare in territori più interessanti”.

“Greys”

Il futuro che appare nelle storie di Parallel Lives, in effetti, è distante anni luce dal tradizionale immaginario fantascientifico, e non somiglia in modo particolare a nulla che si sia già visto. Pur essendo perlopiù inquadrato attraverso il filtro di una piccola porzione di realtà, è un microcosmo coerente nelle sue varie sfaccettature, oltre che ricchissimo di implicazioni interessanti in merito all’evoluzione della civiltà umana e dei suoi costumi. Innanzitutto, si tratta di un tempo nel quale la tecnologia ha completato la sua opera di integrazione nel corpo umano, trasformando il rapporto che ogni persona intrattiene con esso e coi propri simili. Il sesso è onnipresente, ma ha assunto una forma comunitaria e polimorfa che ne ha fatto un fenomeno molto diverso dalla nostra concezione, in quanto privo di finalità riproduttive e svincolato dallo stesso atto dell’accoppiamento. Sofisticati strumenti tecnologici consentono inoltre di controllare l’invecchiamento, il livello degli ormoni nell’organismo e altri processi biologici, rendendo obsoleti concetti come quello di natura umana e differenziazione sessuale.

Schrauwen riesce a problematizzare certi temi per via indiretta e quasi implicita, sollecitando a più riprese l’attenzione del lettore con effetti di straniamento che hanno a che fare non solo col contenuto delle storie, ma anche e soprattutto col modo in cui è condotta la loro narrazione per parole e immagini. Il registro comico e paradossale, in diversi episodi, dissimula così riflessioni che affiorano tra le righe del testo, o meglio, per dirla con l’O. Schrauwen di “Greys”, nella cosiddetta “area grigia di intersezione tra ciò che può essere detto con le parole e ciò che è meglio mostrare con le immagini”. La stessa storia, che oscilla continuamente tra i due poli dell’onesto resoconto e dell’assurda parodia di sé stesso, raggiunge il suo apice drammatico nel momento in cui gli alieni mostrano al protagonista una ricostruzione in 3d delle varie tappe che hanno condotto l’uomo a distruggere la Terra e che lo porteranno a cancellare l’intero universo, ma lo spettatore sembra più interessato a osservare gli effetti speciali che a comprendere il messaggio che gli viene rivolto.

In “Hello”, l’incomunicabilità tra l’oggi e il domani è rappresentata da un apparecchio che per gli uomini del futuro, continuamente occupati in party e intrattenimenti erotici, è un’anticaglia priva di interesse. Le invenzioni avveniristiche che appaiono nelle due storie seguenti tematizzano invece il problema di una percezione alterata dalla tecnologia, sviluppando in parallelo due geniali parodie del linguaggio grafico del fumetto (“Cartoonify”) e delle sue convenzioni narrative testuali (“The Scatman”). Da un lato l’immagine semplificata, dai contorni netti e priva di dettagli, rimanda a un mondo piatto e allucinato che al di là della propria comicità rivela aspetti inquietanti; dall’altro il pensiero intrusivo tradotto in didascalia non risalta solo come un’efficace trovata umoristica, ma implica una sottile via d’accesso all’interiorità della tormentata Ooh-lee.

“The Scatman”

La narrazione procede qui per brevi episodi racchiusi in poche pagine, e raggiunge la sua massima concentrazione nelle due fittissime tavole da 70 vignette di “Mister Yellow”, prima di dilatarsi nell’ultima storia della raccolta, che occupa circa la metà del volume. “Space Bodies” è l’inedito che da solo giustificherebbe il prezzo della raccolta, ed è tra tutte le storie di Parallel Lives – e forse dell’intera opera di Schrauwen – la più spettacolare a livello visivo (un vero e proprio caleidoscopio di colori e vignette che invitano alla contemplazione) e la più complessa e ambiziosa a livello narrativo.

È stato giustamente notato che un modello di ispirazione per la storia può essere rintracciato nella saga Il mondo di Edena di Mœbius, e in particolare nell’episodio I giardini di Edena (1988), sia per la rappresentazione in chiave utopica di uno scenario alieno, sia per la caratterizzazione genderless dei due viaggiatori spaziali che nel corso di un’avventura riscoprono a poco poco le proprie origini biologiche dimenticate. La storia di Schrauwen, in ogni caso, integra e approfondisce anche numerose suggestioni disseminate negli altri racconti di Parallel Lives, e soprattutto evidenzia un aspetto che può essere riferito in generale all’intero progetto, ovvero il fatto che le riflessioni sui concetti di identità, genere e natura si leghino a doppio filo a un discorso sulla narrazione, sulle sue convenzioni e sull’esistenza di molteplici punti di vista.

Risvegliatosi in un futuro completamente diverso dal nostro presente, Olivier interagisce con persone ignare di qualsiasi forma di individualismo e differenziazione sessuale, che concepiscono sé stesse come organi di un corpo più grande costituito dalla collettività. Narrare una storia in prima persona significa per lui recuperare “un’arcaica nozione del sé”, mentre un dispositivo tecnologico registra il suo viaggio per trasmetterlo nel passato ai suoi contemporanei del XXI secolo, su un medium che il lettore può bene immaginare quale sia. 

In una delle scene più memorabili, leggendo un’avventura a fumetti di Tarzan e un romanzo di Charles Bukowski ritrovati in una cassetta che il padre aveva sigillato con lui nella capsula criogenica, Olivier ride perché gli sembrano del tutto inverosimili, ma altrettanto inverosimile è probabile che appaia lui stesso, in quanto uomo risvegliatosi nel futuro, ai suoi nuovi contemporanei, e viceversa. Il fascino delle finzioni di Parallel Lives, insomma, partecipa sia del riso più leggero che della malinconia più profonda, ed è proprio della scoperta che in altri mondi immaginari, e soprattutto nell’intreccio tra tempi lontani, sia possibile osservare da nuove prospettive ciò che più da vicino ci riguarda.

“Space Bodies”