08/02/23

Il cuore dell’imperatore. Su «L’usignolo» di Andersen


Condivido il testo di un discorso che ho scritto ispirandomi alla fiaba L’usignolo, di Hans Christian Andersen, e ad alcune osservazioni fatte dai miei alunni di quinta elementare dopo la lettura di questa fiaba. Ho letto questo testo in classe per riprendere alcuni spunti che erano emersi dal dialogo, riallacciandomi a una battuta che durante la lezione precedente non avevo compreso.


Mercoledì scorso, dopo la lettura dell’Usignolo, Diego ha risposto a una mia osservazione con una battuta: «Allora dobbiamo fare sempre sì con la testa?». Nella fiaba si dice che la Morte fa sempre sì con la testa, come fanno le persone della corte, ma io non ci avevo fatto caso e Diego ha lasciato perdere, come se non fosse importante. Invece è importante condividere le proprie osservazioni con tutti: anche le battute possono aiutarci a capire meglio. Mi spiace di non aver capito subito la battuta di Diego, e di averla scambiata per un commento inopportuno. Ma adesso, ispirandomi a questa battuta, voglio provare a commentare la storia che abbiamo letto. Spero di riuscire a farvi comprendere perché credo che questa sia una splendida fiaba, una storia di fantasia che esprime alcune verità su cui è importante riflettere.

La battuta di Diego ci fa capire che la fiaba parla anche di ognuno di noi. Ogni personaggio ci dice qualcosa. A volte siamo simili all’imperatore, altre volte all’usignolo, o al musico di corte, o alla piccola sguattera… E ogni personaggio può essere diverso da una scena all’altra: in questa fiaba l’imperatore mostra alcune qualità positive e altre qualità negative, infatti alla fine la Morte gli mostra le sue buone e le sue cattive azioni.

Cosa rende un personaggio diverso da una scena all’altra? Sicuramente il tempo, ma io credo soprattutto il modo in cui interagisce con gli altri personaggi: l’imperatore che ascolta incantato l’usignolo è diverso dall’imperatore che minaccia i suoi ministri di farli picchiare sulla pancia (anche questa è una battuta che ci fa ridere e riflettere). Se un personaggio fosse sempre da solo, rischierebbe di essere sempre lo stesso, di non poter mai crescere o migliorare. È quello che succede all’imperatore quando si ammala e riceve la visita della Morte: è chiuso in una stanza e circondato solo da oggetti inanimati. Ma in un certo senso l’imperatore era già solo anche prima di ammalarsi, perché era chiuso nel castello e circondato da persone che si comportavano come automi.

Cosa ci dice la battuta di Diego? Ci dice che la fiaba parla anche di noi, della scuola. Un insegnante che pretende che gli alunni facciano sì tutto il tempo è come l’imperatore che ottiene l’obbedienza della corte attraverso regole inutili, comandi e punizioni. Purtroppo capita a tutti gli insegnanti di essere così, l’importante è esserlo il meno possibile, anche perché sennò gli alunni finiscono per diventare degli alunni meccanici! A volte gli insegnanti e gli alunni possono sembrare davvero delle persone meccaniche: quando si comportano come robot, facendo cose sempre uguali, o anche quando si spengono e sembrano indifferenti a tutto. Prima che Diego facesse quella battuta, io avevo osservato che la classe mi sembrava meno partecipe e viva del solito, come se qualcuno o qualcosa si stesse spegnendo.

Come si fa a essere degli alunni vivi, anzi delle persone vive? Pensiamo all’usignolo: se non impariamo ad ascoltare il suo canto, non conosceremo mai la sua bellezza. Alla primissima lezione dell’anno scorso, quando ho chiesto cos’è il silenzio, Alice ha detto: «Il silenzio ci fa sentire meglio i suoni della natura». Quindi non è qualcosa che spegne le parole, ma qualcosa che ci fa ascoltare più a fondo, e da cui possono nascere le parole e i pensieri più belli, molto più belli di quelli che nascono nel rumore e nella fretta. È una frase che mi ha fatto innamorare di questa classe, perché ho capito subito che è una classe viva! Per il maestro, gli alunni che sanno ascoltare e intervenire con delle belle osservazioni sono proprio come l’usignolo: a volte la profondità dell’ascolto e la bellezza delle vostre osservazioni sono davvero commoventi. Anche i maestri imparano ogni giorno dalle piccole cose, dall’intelligenza e dalla creatività degli alunni, e direi soprattutto dalla loro sensibilità.

«Sensibilità: capacità, attitudine a ricevere impressioni attraverso i sensi» (questa è la definizione dell’enciclopedia Treccani: non molto bella, vero?). La sensibilità è qualcosa che viene prima dell’intelligenza, e che spesso da adulti si rischia di perdere. I bambini sono in genere molto più sensibili: provano emozioni e sensazioni più forti, per questo quando ascoltano o leggono una storia arrivano più facilmente al suo cuore, non si fermano alle parole. Alcune osservazioni per me molto belle sono quelle in cui sembra che non esistano parole per dire ciò che si vorrebbe esprimere. Pensiamo alla definizione che abbiamo appena letto: non esistono parole per dire bene cos’è la sensibilità. È più facile capirlo da un racconto che su un dizionario.

Un altro esempio: parlando dell’uccello meccanico, Han ha detto «trappola», poi ha provato a spiegarsi e non ci è riuscito. È giusto così, perché molte cose nelle fiabe non si possono spiegare a parole. Con le parole possiamo avvicinarci al cuore della storia, ma rimane sempre qualcosa di misterioso. Perché l’uccello meccanico potrebbe essere una trappola? Forse l’imperatore del Giappone voleva far ammalare l’imperatore della Cina, e così gli ha inviato un oggetto tanto seducente quanto pericoloso (un po’ come il canto delle sirene, talmente bello che conduce alla pazzia e alla morte). In questo caso l’imperatore del Giappone sarebbe un genio del male!

Eppure Chiara ha detto giustamente che secondo lei l’imperatore del Giappone non voleva inviare all’imperatore della Cina una trappola. Forse voleva fargli davvero un dono, non sapeva quali sarebbero state le conseguenze. Allora il male può anche nascere da una buona azione e da buone intenzioni. Ma perché questa buona azione è diventata una trappola?

Dobbiamo immaginare l’imperatore chiuso nella sua stanza con l’uccello meccanico, solo e abituato ad ascoltarlo di continuo, come imbambolato dalla bellezza del suo canto. Ma prima ancora di ricevere l’uccello meccanico, l’imperatore era già solo nel suo castello, circondato dalla vanità, dall’ostentazione della ricchezza e dalle formalità della vita di corte.

È come se l’imperatore non si accorgesse di essere in gabbia, e infatti la prima cosa che propone (anzi, impone) all’usignolo è di stare sempre con lui in una gabbia, come se fosse una cosa bella! Crede di fargli un regalo, invece per l’uccellino è una trappola! Come mai l’imperatore non si rende conto della crudeltà di questo regalo? Secondo me perché non si rende conto nemmeno della sua solitudine. Anche leggendo la storia è facile ingannarsi. Se ci fermiamo all’apparenza, l’imperatore è l’uomo più potente dell’impero, possiede un castello e un giardino vastissimi, è ricchissimo e comanda su tutti. Se guardiamo in profondità, è un uomo solo che non conosce nemmeno ciò che c’è al di là del suo naso. Non sta davvero vivendo la sua vita. Sembra molto diverso dall’imperatore che abbiamo visto nella storia Il vaso vuoto, che ama i fiori, gli uccelli e i bambini. Sembra molto diverso anche dal giardiniere dell’altra storia cinese che abbiamo letto, che ama il suo lavoro anche se è molto faticoso!

L’imperatore vorrebbe che la musica dell’uccello meccanico coprisse le parole della Morte, perché ha paura di sentire le sue buone e le sue cattive azioni. L’imperatore dice alla Morte: «Non ne sapevo nulla!». E in effetti è all’oscuro di molte cose, proprio perché non esce mai dal suo castello. Non sa cosa succede nel giardino, nei boschi, o nelle case dei pescatori… Dà mille ordini ai suoi ministri, e così finisce per non conoscere più niente. Vive nella più completa ignoranza e irresponsabilità. Non fa nemmeno lo sforzo di andare ad ascoltare l’usignolo nel suo ambiente naturale!

Ma perché è successo tutto questo? Sembra assurdo che una persona voglia vivere così. Eppure c’è una frase del musico di corte che ci aiuta a capire meglio, una frase che Laura ha sottolineato molto bene. Il musico di corte sostiene che l’uccello meccanico è meglio dell’usignolo vivo, non solo perché è ricoperto d’oro e diamanti, ma anche perché al suo interno «tutto è previsto», mentre «dall’usignolo vivo, non si sa mai cosa può uscir fuori».

Vi ricordate la fiaba di Chandra Candiani che abbiamo letto qualche mese fa, L’uccello senza casa? Parlava dell’amore come di un controsenso, qualcosa che non ha logica, eppure è l’unica cosa che ci fa sentire a casa, vivi. Anche L’usignolo parla di questo. La vita è imprevedibile, può far paura, così l’uomo prova a controllarla e finisce per vivere in un mondo di bugie e illusioni, finisce per credersi il padrone di ogni cosa, e non più un semplice abitante del mondo, come ogni altro essere vivente. Nel giardino ci sono fiori con delle campanelle d’argento legate attorno: anche i fiori non solo liberi! Nel castello molte persone sono schiave delle apparenze, di cose che non hanno davvero valore. I membri della corte fingono di essere dotti ripetendo parole difficili, ma non sanno nemmeno distinguere una mucca da un uccellino! Credono di essere migliori della sguattera e dei pescatori, invece sono intrappolati nell’ignoranza.

Come si esce da queste trappole? Pensiamo a come ha fatto l’imperatore a conoscere il canto dell’usignolo. L’ha letto su un libro che gli ha regalato l’imperatore del Giappone (un dettaglio che dà ragione a Chiara circa le sue buone intenzioni), e prima ancora erano stati dei viaggiatori stranieri a scriverlo sui loro libri! Anche questo voi l’avete intuito, perché ricordo che mi avete chiesto se anche in altri Paesi conoscono l’usignolo. Abbiamo letto la fiaba in due momenti diversi, e forse ricordavate in modo un po’ confuso l’inizio della storia, ma la vostra domanda conteneva già questa risposta: lo sguardo e la voce degli altri possono insegnarci le cose più preziose.

C’è da aggiungere però che l’imperatore è guarito non solo grazie all’usignolo, ma anche perché in lui c’erano già tante virtù che aspettavano di rifiorire, come la bontà e la sensibilità. L’imperatore ascolta l’usignolo e piange per la bellezza del suo canto. «Gli colarono giù per le guance dei grossi lucciconi, e allora l’usignolo cantò ancor meglio, in modo da parlare direttamente al cuore». L’usignolo gli dice che le sue lacrime sono per lui il regalo più bello, altro che la pantofola d’oro appesa al collo: «Son questi i gioielli che fanno bene al cuore di un cantore». E alla fine gli dice quella che per me è la frase più bella di questa fiaba: «Io amo il tuo cuore più della tua corona, che pure ha qualcosa di sacro».

L’usignolo ha riconosciuto la nobiltà d’animo dell’imperatore, che lo rende più saggio di tante persone della sua corte. L’imperatore ha ritrovato la salute, la vita e la saggezza, perché ha imparato a fidarsi dell’usignolo, un piccolo animale che molti non sanno nemmeno riconoscere. Uscito dalla sua stanza, secondo me la prima cosa che fa è una bella passeggiata nel giardino, fino ai boschi lontani dove vive l’usignolo. A vederlo così, mi viene da pensare che potrebbe anche essere lo stesso imperatore del Vaso vuoto. Possiamo dire che ha imparato a non fare sempre sì (o no) con la testa, come la Morte o come un qualsiasi uccello meccanico. È vivo, non solo perché ha un cuore che batte, ma soprattutto perché ha imparato ad ascoltarlo. E secondo me sa anche che il battito del cuore certe volte è un canto, altre volte uno sguardo, una lacrima, una carezza, un’osservazione… o una battuta.

Illustrazione di Rex Whistler per L’usignolo di Hans Christian Andersen, da un’edizione del 1935.