13/11/19

A scuola in Giappone. Una sbirciata sull’altro mondo


Il mio compagno di tavola, un bambino giapponese di otto anni, sta leggendo Tintin. È ora di pranzo, e mentre altri bambini preparano le porzioni l’aula è già diventata una mensa, con tutto l’occorrente disposto in ordine sui banchi raggruppati a isole. Il mio vicino ha invece il turno da cameriere, ma è la sua tovaglietta piena di treni a preannunciarmi il sogno che mi racconterà a breve, e che alla parola shinkansen mi richiamerà alla mente i due fratellini dello splendido I Wish (2011) di Hirokazu Koreeda, regista che in molti film ha dato voce al mondo dell’infanzia con rara sensibilità.

Anch’io sono appassionato di fumetti e di treni, e l’indomani ne prenderò uno per passeggiare sulle strade della città che vide crescere il “dio del manga” Osamu Tezuka. A onor del vero sono un maestro di 30 anni e non capisco una parola di giapponese, ma la gentilezza e l’ospitalità che mi circondano hanno il potere di farmelo dimenticare. Una bambina ha sentito che mi piace scrivere e disegnare, e mi chiede di farle un disegno. «Gli italiani sono degli artisti,» dice entusiasta, attirando l’attenzione dei compagni. I nostri stereotipi su di loro, a pensarci, non sono sempre altrettanto lusinghieri. Un altro film di Koreeda, il documentario giovanile Lessons from a Calf (1991), mi ha insegnato perlomeno a diffidare di quelli che in genere associamo alla scuola giapponese, grazie all’esperienza di una classe elementare che per tre anni, adottando una mucca, ha fatto della sua cura il perno di una programmazione didattica tutt’altro che rigida o autoritaria. Un caso particolare, certo, ma come ogni eccezione indicativo di una realtà ben più complessa dei nostri consueti schemi mentali.

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Appendice
Di seguito alcune foto che non compaiono nell’articolo pubblicato su Topipittori.