«Ricordo ancora il mio primo libro di testo della scuola elementare. Era la primavera del 1934. Lo aprii con grande emozione: al suo interno era disegnata una bellissima scena primaverile, con degli alberi di ciliegio in fiore.»
«Ricordo che la nostra maestra scrisse le parole “Sono sbocciati, sono sbocciati” a caratteri cubitali sulla lavagna. La signorina Tejima era alta e snella. Immagino che molte persone conservano anche da adulti un ricordo nitido dei loro insegnanti della scuola elementare. Anch’io ho ben impressa nella memoria l’immagine della signorina Tejima: il colore dei suoi vestiti, la sua acconciatura e persino i gesti che era solita fare.»
«Erano giorni sereni e idilliaci. Ma le cose stavano cambiando rapidamente. Il Giappone era entrato in uno dei periodi più cupi e opprimenti della sua storia. […] Poche pagine dopo quella in cui erano riportati i versi e il disegno dei ciliegi in fiore, nel nostro libro di lettura vi era una pagina in cui era riportato l’ordine veemente: “Avanzate! Avanzate! Soldati, avanzate!”»
«In terza e quarta elementare, l’insegnante fu per la prima volta un uomo, il signor Takeuchi. Giovane ed energico, si era appena diplomato all’istituto magistrale. […] Ancora oggi mi commuovo quando ricordo la cura e l’entusiasmo con cui mi incoraggiò a sviluppare la mia forza fisica e a diventare un bambino sano. Ci insegnò anche il significato delle Olimpiadi, spiegandoci in modo dettagliato come si svolgevano. […] Era chiaro che odiasse la guerra. Immagino che nel profondo del cuore si opponesse con forza alla tendenza militarista dei tempi, credendo nella pace e incoraggiando i bambini a diventare persone di valore con un autentico amore per la pace.»
«In Giappone, coloro che si prendono cura dei ciliegi sono chiamati sakuramori, una parola che implica un senso di attenzione e protezione. I sakuramori si occupano dei ciliegi incoraggiandone la crescita, dedicandosi al loro benessere e, in generale, prendendosene cura durante tutto l’anno. Il loro impegno in questa attività esprime la fiducia nella forza della vita, che cresce e si sviluppa senza sosta. Non si preoccupano eccessivamente degli alberi, ma allo stesso tempo non li ignorano mai. Ne osservano con attenzione la crescita ma li lasciano liberi di svilupparsi senza alcuna restrizione. Questo è molto importante; se, per esempio, venissero piantati dei paletti a sostegno di un albero fin dalla sua nascita, questo farebbe affidamento solo su quei sostegni e non sarebbe più in grado di crescere da solo.»
«Gli alberi sono esseri viventi, non macchine. Ogni ciliegio è unico. Ciascuno di loro cresce e prospera in ambienti diversi. Ecco perché non esiste un manuale che possa dirci come coltivare un ciliegio. […] Allo stesso modo, ogni bambino è unico. Ciascuno fiorisce nel modo che gli è più proprio. Per aiutare un albero o una persona a crescere, dobbiamo coltivare nel nostro cuore una fiducia tenace nel suo potenziale di crescita.»
«Il mio insegnante di quinta e sesta elementare era il signor Hiyama. Credo che all’epoca avesse venticinque o ventisei anni. Con la fronte ampia e gli occhi chiari e luminosi, già solo dall’aspetto dava l’impressione di essere una persona intelligente e perspicace. Le sue lezioni erano a volte impegnative, ma sempre interessanti. Tra una lezione e l’altra ci leggeva il romanzo Miyamoto Musashi di Eiji Yoshikawa, e lo faceva gesticolando, assumendo le pose dei vari personaggi e interpretando il testo con voce drammatica, dando così vita al racconto.»
«Quando ero in prima media [sesta elementare?], mi recai nel Kansai per una gita scolastica di quattro notti e cinque giorni. Era il mio primo viaggio lontano da casa ed ero molto emozionato. Mia madre mi aveva dato qualche risparmio che era riuscita a racimolare. Usai quei soldi per comprare dolcetti e snack per i miei amici, e alla fine del primo giorno avevo già speso quasi tutto. Il signor Hiyama doveva avermi osservato per tutto il tempo, perché mi chiamò mentre salivo le scale del piccolo albergo dove alloggiavamo e mi disse: “Daisaku, i tuoi fratelli maggiori sono in guerra. Devi comprare ai tuoi genitori un souvenir da portare loro al tuo rientro”. […] Mise dei soldi nel palmo della mia mano e vi chiuse le mie dita attorno. […] Quando tornai a casa e diedi il regalo a mia madre, le raccontai quello che era successo. “Non devi mai dimenticare il signor Hiyama”, mi disse con un sorriso gentile. […] Non dimenticherò mai l’affetto con cui guardò ciascuno di noi durante la cerimonia di consegna dei diplomi, con le guance rigate da lacrime di commozione.»
«Nel 1940 mi diplomai alla scuola elementare ed entrai nella Scuola elementare superiore di Haneda. Il mio insegnante per quei due anni fu il signor Okabe, che noi chiamavamo “signor Bucaniere”. […] A prima vista il signor Okabe poteva incutere timore, ma io non ho avuto mai paura di lui. Non ricordo una sola volta in cui mi abbia rimproverato, forse anche perché ero molto timido. Una volta, uno degli studenti della nostra classe fu picchiato da un altro insegnante. Quando il signor Okabe lo venne a sapere, si precipitò nell’aula docenti gridando: “Chi di voi ha colpito uno dei miei studenti?”»
«Nel 1945, l’ultimo anno della guerra, gli attacchi aerei su Tokyo iniziarono il giorno di Capodanno. Le nostre giornate erano costellate da combattimenti e incursioni aeree. Ma, nonostante tutto, all’arrivo della primavera i ciliegi che erano rimasti in piedi cominciarono a fiorire come sempre, fedeli alla loro natura.»
«La notte del 15 aprile, quando i fiori di ciliegio stavano iniziando a cadere dai rami, la parte meridionale di Tokyo fu oggetto di un massiccio attacco aereo. […] Della mia amata scuola elementare e della cosiddetta “scuola nazionale popolare” non era rimasto che un cumulo di detriti e macerie.»
«All’epoca, persino il ciliegio veniva trasformato in un simbolo di morte. I giapponesi venivano incitati a essere come i fiori di ciliegio, pronti a disperdersi con coraggio nel vento senza il minimo rimpianto. Ma i ciliegi davanti a me rifiutavano chiaramente questa perversione e mi parlavano in modo potente e sublime della vita. Traboccavano di speranza.»
«Non ho mai dimenticato gli insegnanti che ho avuto da giovane. Con alcuni di loro sono ancora in contatto. Una volta il signor Okabe mi scrisse esortandomi a vivere con forza e tenacia, senza mai arrendermi di fronte agli ostacoli. In un’altra lettera mi incoraggiò con le seguenti parole: “Più un albero cresce in altezza, più il vento soffia con forza contro di lui. Ti prego di resistere al vento e alla neve”.»
«Ebbi modo di incontrare nuovamente il signor Hiyama nel 1973, a Tochigi. Lui e sua moglie avevano viaggiato in autobus per un’ora e mezzo per vedermi. Erano trascorsi più di trent’anni, ma aveva ancora l’aura di un grande educatore che ha svolto un ottimo lavoro aiutando innumerevoli bambini a crescere e svilupparsi.»
«I docenti delle scuole superiori sono più importanti di quelli delle scuole elementari? I professori universitari sono più importanti dei docenti delle scuole superiori? Assolutamente no. Purtroppo questo tipo di pensiero erroneo sta contaminando la nostra società: oggi gli studiosi e i pensatori hanno spesso l’idea sbagliata di essere migliori di coloro che lavorano sul campo.»
«Molti amano i ciliegi e altri alberi da fiore, ma pochi apprezzano sinceramente l’impegno di chi lavora dietro le quinte per mantenerli vivi e in salute. Anche la vita di un educatore è tutt’altro che semplice e allettante. L’insegnamento è un compito poco appariscente, che non riceve molta attenzione, ma che implica sforzi ardui e costanti. Tuttavia, è proprio grazie a insegnanti dediti a coltivare il futuro se la prossima generazione di bambini può crescere sana e forte. Non dobbiamo mai dimenticare questo punto fondamentale.»
Frammenti tratti dal testo di Daisaku Ikeda “Gli insegnanti della mia infanzia” (2004), contenuto nel volume La luce dell’apprendimento. Saggi sull’educazione (Esperia 2023, pp. 181-194).
Daisaku Ikeda (1928–2023) |