22/12/20

Tomi Ungerer. Fuga dalla fine del mondo


L’ultimo albo illustrato di Tomi Ungerer (1931-2019), Non stop, uscì in Germania nel maggio 2019, appena tre mesi dopo la sua scomparsa. Come accade spesso in casi del genere, specie ad artisti considerati maestri, il libro venne accolto come un testamento, e fu tanto più atteso dal momento che rappresenta il tassello conclusivo di una carriera singolarmente eclettica e prolifica (più di 140 volumi, secondo il sito ufficiale). Di fronte all’ultimo lavoro dell’autore di classici per l’infanzia come I tre briganti (1961), L’uomo della Luna (1966), Il gigante di Zeralda (1967) e Otto. Autobiografia di un orsacchiotto (1999), ma anche di un corpus di libri inclassificabili, audaci e visionari, abilissimo nel giocare in modo provocatorio e intelligente con le convenzioni e i tabù dell’immaginario, definito da Maurice Sendak il più originale della sua epoca, sarebbe stato davvero difficile sottovalutare l’importanza di questa uscita, ma altrettanto difficile comprenderne subito e fino in fondo la portata, senza il proverbiale senno di poi.

Credo che non pochi lettori tedeschi, sfogliando allora Non stop, siano rimasti delusi al cospetto di una storia di rara cupezza e alienazione, un incubo talmente essenziale nelle immagini e nell’economia delle parole da sfiorare la metafisica. Per le strade di una città deserta che ricorda le architetture di De Chirico e le geometrie Bauhaus, un uomo di nome Vasco «attraversa senza meta solitudini desolate, seguendo la sua ombra», in una fuga che di pagina in pagina si preannuncia ininterrotta. Prima ancora della sua comparsa, un incipit memorabile campeggia senza accompagnamento di immagini sul vuoto di una pagina bianca, come inciso sulla pietra:
Uccelli, farfalle e topi: tutti spariti.
L’erba e le foglie erano avvizzite.
I fiori s’erano trasformati in ricordi.
Le strade e i palazzi erano deserti.
Erano andati tutti sulla luna.

Un libro per bambini, ma che senza dubbio ha portato molti genitori ed educatori a chiedersi come si possa proporre a un bambino una storia del genere. Possibile – si sarà domandato qualcuno – che un maestro noto per le sue trovate fuori dagli schemi e il suo genio polemico abbia voluto uscire di scena con un’opera tanto dimessa ed enigmatica? La prima recensione su Amazon parla addirittura di un «libro terribile», di «incubi abbastanza insipidi messi insieme in una storia tirata per i capelli», «con un finale strampalato» e «disegnata pure con un tratto un po’ rigido», e non è stata certo scritta da un lettore sprovveduto, come dimostrano le considerazioni successive. Il recensore osserva infatti che è necessario prendere sul serio il lascito di un grande illustratore, e poi che si tratta di un libro sul nostro mondo contemporaneo, motivo per cui sarebbe stato inopportuno aspettarsi qualcosa di diverso.


L’edizione italiana di Non stop, pubblicata da orecchio acerbo con traduzione di Damiano Abeni, è stata stampata nel febbraio 2020, a ridosso dell’emergenza Covid. Qualsiasi affermazione sull’attualità di Non stop ha assunto nel frattempo un rilievo ben più significativo, e oggi è forte la tentazione di scorgere nella storia di Vasco che attraversa un mondo al collasso (anzi, già collassato) delle risonanze profetiche. Rispetto al 2019, è ragionevole pensare che l’albo si sia imposto agli occhi di molti più lettori come un libro degno di un interesse particolare in rapporto al nostro tempo, anche a prescindere dal suo autore. Il volume è chiaramente lo stesso, ma l’esperienza della pandemia ci ha fornito una chiave per sentire più familiare il suo linguaggio straniante, superare le resistenze critiche superficiali e lasciarci guidare nella lettura, o meglio nella visione, con l’abbandono che ai bambini riesce più spontaneo. Un papà americano, su Goodreads, ammette così che di fronte alla stranezza del libro si era preoccupato che potesse risultare ansiogeno, ma dopo averlo letto assieme al figlio di cinque anni ha iniziato ad apprezzarlo sempre più, trovandolo «stranamente commovente e incoraggiante».

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