19/06/20

Il primo volo di Peter Pan


Il tempo ha riservato una sorte particolare a James M. Barrie (1860–1937), autore che fin da giovane è stato fra i più celebrati della sua generazione, ma che col passare dei decenni ha visto sia la maggior parte dei suoi lavori, sia il suo stesso nome eclissati dall’abbagliante stella che ha generato. Oggi tutti conoscono Peter Pan, quasi nessuno sa che nacque in un romanzo di cui non era nemmeno il personaggio protagonista, e ben pochi ricordano il nome del suo autore. Per gli studiosi che si sono occupati dell’opera di Barrie, viceversa, la costante attenzione al dato biografico è motivata dall’influenza che le circostanze familiari ebbero sulla sua poetica, ma in fin dei conti ha contribuito a mettere in risalto le idiosincrasie dell’uomo molto più dell’abilità dello scrittore e del drammaturgo, che pure fu lampante ai contemporanei ben al di là del grande pubblico («Mi piacerebbe fare una bella chiacchierata ininterrotta con quel talentuoso scozzese, prima di morire» osservò Mark Twain nella sua autobiografia, mentre Robert Luis Stevenson gli scrisse: «Io sono un artista capace; ma comincio a pensare che lei sia un genio»).

Un’ottima opportunità per riscoprire la letteratura di Barrie è offerta dalla nuova edizione del romanzo L’uccellino bianco (1902), pubblicata da Marsilio a cura di Giovanna Mochi, con traduzione di Carla Vannuccini e un testo di Beatrice Masini. L’uccellino bianco è generalmente noto agli specialisti come il testo in cui comparve per la prima volta la figura di Peter Pan, anche se si tratta di un Peter Pan che non ha quasi nulla a che vedere col ragazzino svolazzante e sfrontato che due anni più tardi sarebbe salito alla ribalta nei teatri di Londra, in uno spettacolo poi trasposto dallo stesso Barrie nel romanzo Peter e Wendy (1911), dal quale Walt Disney ha tratto il celebre adattamento animato (1953). Non vive a Neverland, non è vestito di foglie secche, e soprattutto non è un bambino che ha ancora tutti i denti da latte, ma un neonato che a soli sette giorni di vita vola via di notte da casa, e sperduto nei Giardini di Kensington senza alcun indumento per coprirsi attraversa le frontiere di un aldilà tanto incantevole quanto spaventoso, popolato di uccelli parlanti, fate, casette invisibili e lapidi.


I sei capitoli centrali del romanzo che racchiudono le vicende di questo Peter Pan “prematuro” vennero ripubblicati a parte, nel 1906, in un volume impreziosito dalle raffinate illustrazioni di Arthur Rackham, e da allora sono proposti di frequente come una storia autonoma dal titolo Peter Pan nei Giardini di Kensington, che in alcune edizioni costituisce una sorta di preludio a Peter e Wendy. Tale prassi editoriale, in Italia come nel resto del mondo, ha fatto sì che la trama principale dell’Uccellino bianco venisse dimenticata, o comunque considerata alla stregua di una cornice non altrettanto pregevole della storia che anticipò il capolavoro di Barrie, corrispondente a circa un quarto della narrazione complessiva. Ora, non c’è dubbio che i sei capitoli di Peter Pan nei Giardini di Kensington siano godibilissimi anche in sé e per sé, ma in realtà lo sono ancora di più nella loro sede originaria. Più che l’abbozzo iniziale di Peter Pan, infatti, rappresentano il cuore pulsante di un romanzo costruito attorno a un vuoto che si è tentato di circoscrivere, ma che solo una lettura integrale del testo restituisce in tutta la sua ricchezza.

L’uccellino bianco è un’opera composita, irregolare, in parte discontinua, dall’incipit fulmineo («Qualche volta il bambino che mi chiama padre mi porta un invito da parte di sua madre») e dalla magistrale conclusione in forma di dedica. È un romanzo esemplare della versatilità dell’autore e sostanzialmente anfibio, nato non tanto dall’accostamento di un romanzo per adulti e di una fiaba per bambini, ma dal loro intreccio inestricabile, per cui cercare di fissarne i limiti, come si legge in una recensione dell’epoca, «sarebbe come vivisezionare un folletto». Riscoprire il romanzo originario significa anzitutto ritrovare le voci e le presenze che abitano l’opera, a cominciare da quelle del Capitano W. – un distinto scrittore di mezza età che vive assieme a Porthos, l’inseparabile cane sanbernardo – e del piccolo David, un bambino figlio di una vicina di casa, Mary, alla quale l’uomo non si è mai presentato, se non dietro la maschera di un misterioso benefattore prodigo di regali. Per le strade della Londra di inizio ‘900, in un andirivieni temporale che conduce attraverso circoli privati per gentiluomini, case borghesi ed eleganti gallerie commerciali, la voce di W. ripercorre le varie tappe dell’incontro e dell’amicizia tra l’uomo e il bambino, vero fulcro narrativo della storia, a partire dal giorno in cui lo stesso protagonista, con un abile stratagemma, propizia il matrimonio tra Mary e il giovane pittore che sarebbe diventato il padre di David.

Una foto di George Llewelyn Davies scattata da J. M. Barrie nel 1899.

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