20/12/19

Le visioni di Giorgio Ghiotti


I libri di racconti promettono sempre piaceri singolari, perlopiù sconosciuti ai puristi del romanzo e a chi ha interiorizzato l’assurdo pregiudizio per cui si tratterebbe in ogni caso di testi più difficili da leggere, forse anche a causa dell’influenza di modelli “impuri” come quelli delle antologie scolastiche e delle raccolte di racconti a tema (illeggibili come opere organiche, salvo rare eccezioni). L’indice di una raccolta di racconti vera e propria, ad esempio, è incomparabilmente più suggestivo di qualsiasi altra soglia testuale, perché consente al lettore di immaginare la natura molteplice del libro che ha davanti con un margine di libertà quasi assoluto, lasciandosi guidare dall’ordine dei titoli, dalle parole ricorrenti e da altri piccoli indizi a caccia di corrispondenze più o meno segrete.

In cima al mio personale olimpo degli indici, una delle prime posizioni spetta senza alcun dubbio a una raccolta di testi autobiografici sull’infanzia del poeta giapponese Mutsuo Takahashi, Twelve Views from the Distance, che ho dapprima sfogliato in una biblioteca e poi acquistato quasi a scatola chiusa, stregato dall’intreccio magico di titoli come “Spirited Away”, “The Various Types of Sea”, “The Shore of Sexuality” e “Skies of Blood”. «Ognuna di queste dodici vedute individuali dalla distanza è un singolo specchio, indipendente dagli altri,» spiega l’autore nell’introduzione. «Volevo che questi dodici specchi, una volta conclusi, formassero un cerchio, di modo che potessero riflettersi reciprocamente, illuminarsi l’un l’altro, e creare un mondo attraverso l’interazione della loro luce e del riflesso».


«Uno dice mondo, e pensi a un cerchio imperfetto,» recita a sua volta la quarta di copertina di Gli occhi vuoti dei santi, la raccolta di racconti di Giorgio Ghiotti pubblicata di recente da Hacca. Anche qui il materiale autobiografico, come nel libro di Mutsuo Takahashi, è l’oggetto privilegiato di molte storie, ma l’equilibrio tra ricordo e racconto sembra in generale pendere verso il secondo dei due poli, attratto da un irresistibile magnetismo letterario e affabulatorio. Più che vedute, i dodici testi di Ghiotti ricordano delle visioni, come indica il riferimento agli occhi e ai santi che si ritrova in molti passaggi, oltre che nel titolo (ma altrettanto cruciale è quel «vuoti», accostabile al ricorrente «scavati»). «Di più importante della vita mi avete dato una storia,» dichiara a proposito dei suoi genitori il narratore del primo racconto, “Mio padre”, con lo stesso tono apodittico con cui nel testo finale, “Il nostro Sur”, le lezioni universitarie di un professore di Letteratura ispanoamericana sono definite «la parentesi più felice delle nostre giovinezze, il nostro cerchio magico fuori dal quale il mondo è tornato a ingrigirsi».

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