25/02/15

Peter Pan. Appunti sulle origini di un mito moderno


Nel 1928, in una nota di accompagnamento alla prima pubblicazione in volume della commedia Peter Pan (1904) – da cui nel frattempo aveva tratto anche il romanzo Peter and Wendy (1911) –, Barrie confessava in modo ironico ma rivelatore che non ricordava di avere scritto quell’opera. Le avventure di Peter Pan e dei lost boys, in altre parole, dovettero apparirgli già allora, e forse dal primo momento in cui le vide rappresentate sulla scena, come qualcosa di impersonale ed eterno: non il prodotto di una semplice attività compositiva, ma piuttosto il rivelarsi di un’intera mitologia che solo in parte traeva le sue radici dall’immaginazione dell’autore.

È noto che Barrie concepì la storia di Peter Pan in compagnia e grazie all’ispirazione di cinque bambini, i fratelli Llewelyn Davies, che conobbe nel 1897 in una delle sue passeggiate londinesi nei giardini di Kensington. “Ho creato Peter Pan,” scrisse, “strofinandovi violentemente insieme, come fanno i selvaggi che producono una fiamma da due stecchi. Questo è Peter Pan, la scintilla venutami da voi”. I primi germi della storia risalgono all’estate del 1901, quando Barrie, entrato in stretta confidenza con la loro madre Sylvia, trascorse coi bambini una vacanza all’insegna del gioco e dell’avventura al Black Lake Cottage di Farnham, nella contea del Surrey, e ne documentò poi alcuni momenti memorabili in un volumetto corredato di fotografie che stampò in due sole copie, The boy castaways of Black Lake island (1901). Le suggestioni esotiche tratte da romanzi di avventura come The Coral Island (1858) di R. M. Ballantyne e Treasure Island (1883) di R. L. Stevenson fornirono a Barrie gli spunti iniziali per abbozzare l’immaginario della futura Never Land, qui prefigurata in un’isola selvaggia e misteriosa abitata da pirati, pellirosse, coccodrilli ed altre bestie feroci.

Una fotografia tratta da The boy castaways of Black Lake island (1901).

Un ulteriore passo in avanti verso il mondo incantato di Peter Pan si compie con The little white bird (1902), storia dell’amicizia tra un uomo solitario ed un bambino chiamato David che reinventa in ottica letteraria il rapporto di Barrie con George, il maggiore dei fratelli Llewelyn Davies. Per la prima volta, in un sottile gioco tra realtà ed invenzione alimentato dalle storie che l’uomo racconta al bambino, prende corpo in questo romanzo una mitologia fantastica e nostalgica dell’infanzia, o meglio di una preistoria in cui i bambini, prima di nascere, condividevano la natura di uccelli all’interno dei giardini di Kensington. Nel primo capitolo del romanzo l’immagine scaturisce da un paragone suggerito all’uomo dalla vista del bambino: “Quando lasci andare la sua mano lui prende il volo come una freccia lanciata dall’arco. Non appena posi gli occhi su di lui, ecco che stai pensando agli uccelli. È difficile credere che lui cammini verso i Giardini di Kensington: sembra che ci arrivi sempre in volo e so che se spargessi delle briciole, lui potrebbe venire a beccarle”. Nel capitolo successivo, poi, la similitudine si sviluppa in un racconto articolato.
David sa che tutti i bambini di questa parte di Londra erano una volta uccellini e che la ragione per cui alle finestre della nursery ci sono le sbarre e davanti ai caminetti alte barriere è perché i piccoli a volte dimenticano di non avere più le ali e provano a volare via dalle finestre o dal camino.
I bambini, nella fase di uccelli, sono difficili da acchiappare. David sa che molte persone non ne hanno, e il suo divertimento è andare nei pomeriggi d’estate in certi angoli dei Giardini dove questi sfortunati possono essere visti mentre tentano di acchiapparli con pezzetti di dolce.

Lo stesso narratore ricorda di aver conosciuto David all’epoca in cui il bambino era ancora una giovane tordo, e nel settimo capitolo, nel congedarsi da un bambino immaginario di nome Timothy, frutto della sua fantasia di paternità, spiega che “gli uccellini bianchi sono bambini che non hanno mai avuto una madre”.

La mappa dei giardini di Kensington tratta da Peter Pan in Kensington Gardens (1906).

Al luogo cardine di questa mitologia dell’infanzia, ovvero i giardini di Kensington, sono poi dedicati per intero sei capitoli che sviluppano in modo più esteso i motivi poetici e fantastici della narrazione. I giardini, descritti attraverso una serie di luoghi resi significativi dalla memoria di generazioni di bambini che vi hanno giocato durante il giorno, si trasformano allo scoccare dell’ora di chiusura in un regno fiabesco, popolato da animali parlanti e da fate (fairies). In questa cornice spaziale trasfigurata, tale per cui un luogo reale si apre ad una dimensione magico-fiabesca, si inserisce la storia di Peter Pan. La sua prima apparizione è fugace, e non a caso coincide con la descrizione dei luoghi dove si consuma in modo simbolico il passaggio cruciale dalla realtà geografica dei giardini al mondo notturno e inaccessibile agli esseri umani dell’Isola, “dove nascono gli uccelli che diventeranno bambini e bambine”.
La Serpentina inizia qui vicino. È un incantevole lago e c’è una foresta sommersa nel fondo. Se tu sbirci dalla riva puoi vedere gli alberi che crescono al contrario e si dice che di notte vi siano anche stelle sommerse nel fondo. Se è vero, Peter Pan le vede quando veleggia attraverso il lago nel suo Nido di Tordo.
Solo una piccola parte della Serpentina è nei Giardini, perché subito passa sotto un ponticello fin dove c’è l’Isola, che è poi quella dove nascono gli uccelli che diventeranno bambini e bambine. Nessun essere che sia umano, escluso Peter Pan (e lui è umano solo a metà) può approdare all’Isola […].

Poco oltre, il capitolo intitolato a Peter Pan presenta subito il personaggio in veste di figura mitologica, nota da tempi immemorabili a svariate generazioni di persone ma mai invecchiata dal giorno in cui, ad una settimana di età, volò via da casa verso i giardini di Kensington e poi verso l’Isola perché dimenticò di essere un bambino. Costretto a vivere in un limbo, come essere metà uccello e metà bambino, dopo una serie di peripezie Peter riuscì a ritornare alla finestra della sua casa, ma quando la trovò chiusa dovette rinunciare in modo definitivo a rivedere sua madre e a crescere come tutti gli altri bambini.

Un’illustrazione di Arthur Rackham per Peter Pan in Kensington Gardens (1906)

I sei capitoli dedicati ai giardini di Kensington e alla storia di Peter Pan vennero ristampati nel 1906 in un nuovo volume impreziosito dalle illustrazioni di Arthur Rackham, Peter Pan in Kensington Gardens, sulla scia del successo che ottenne la commedia Peter Pan, or The Boy Who Wouldn’t Grow Up, rappresentata per la prima volta il 27 dicembre 1904 al Duke of York’s Theatre di Londra.

Con la sua comparsa sul palcoscenico Peter Pan diviene figura protagonista, collocata nel tempo in cui si svolgono le vicende rappresentate e non più presentata attraverso una digressione sostanzialmente autonoma dal racconto principale, come avveniva nel romanzo precedente. Anche in questo caso Peter Pan è una figura estranea al mondo degli esseri umani (in più passi si suggerisce che sia una sorta di spirito senza età; in un punto si dice che non ha peso), ma a differenza del romanzo il suo passato è tanto più misterioso in quanto non è narrato in modo approfondito bensì per mezzo di sporadiche allusioni. La sua irruzione nel presente della storia, ambientata nella Londra di inizio XX secolo, è allora accompagnata da un senso di minaccia ben avvertibile nelle parole di Mrs. Darling, madre che una sera racconta al marito di aver visto più volte il volto di un bambino affacciato alla finestra di casa e di avere infine sorpreso lo strano ospite all’interno di una stanza, prima che fuggisse lasciando l’ombra dietro di sé. La sera stessa, accompagnato dalla fatina Tinker Bell (Campanellino), Peter Pan fa visita alla camera dei bambini per riprendere la sua ombra, e dopo essersela fatta ricucire dalla primogenita Wendy acconsente di accompagnarla in volo assieme ai fratellini John e Michael a Never Land. Lì il gruppo si unirà alla tribù dei lost boys, bambini dimenticati dai genitori e divenuti seguaci di Peter Pan, e incontrerà gli altri abitanti dell’isola (la ciurma di pirati capitanati da Captain Hook – Capitan Uncino –, i pellirosse, le sirene, i fairies, gli uccelli e altri animali), per poi fare di nuovo ritorno a casa.

John Hassall, The arrival of Peter Pan (1907)

La storia della commedia, integrata e rivisitata in alcuni punti, venne trasposta da Barrie in un romanzo dal titolo Peter and Wendy (1911), accompagnato nella sua prima edizione dalle illustrazioni di Francis Donkin Bedford. Il Peter Pan della commedia – e di Peter and Wendy – presenta alcune differenze rispetto all’omonimo personaggio che compare in The little white bird nei capitoli poi ristampati come Peter Pan in Kensington Gardens. La sua fuga da casa, che nel romanzo precedente avviene ad una settimana di età, è anticipata al primo giorno di vita di Peter, ed inoltre non è più motivata da una sua dimenticanza circa la propria natura di bambino e non di uccello, ma da un preciso rifiuto di crescere conseguente ad un discorso udito dai genitori riguardo al proprio futuro. Nonostante ciò, sulla scena e nei poster pubblicitari della commedia (oltre che nelle illustrazioni di Peter and Wendy), Peter Pan non è più rappresentato con l’aspetto di un neonato (come nelle illustrazioni di Rackham per Peter Pan in Kensington Gardens), bensì come un bambino nell’età della fanciullezza, a fronte della scarsità di dettagli specifici offerti in merito dalla sceneggiatura e nonostante il suo ruolo fosse per necessità interpretato da attrici di età ben più avanzata. Nella commedia Peter Pan confessa di non conoscere la sua età, ma di essere abbastanza piccolo; nel romanzo si dice che è alto quanto Wendy ed ha conservato tutti i denti da latte (dettaglio che gli attribuirebbe al limite un’età apparente di sei anni). L’iconografia di Peter Pan fanciullo venne poi utilizzata per la statua commissionata da Barrie, realizzata da George Frampton ed eretta nei giardini di Kensington nel 1912, sul modello della quale, tra il 1924 e il 1929, vennero innalzate altre sei statue in varie città del mondo.

Allo stesso modo, la Never Land rappresentata nella commedia e in Peter and Wendy non è del tutto assimilabile all’Isola di cui parlava The little white bird: pur essendo sempre un luogo fiabesco di natura metafisica situato nei pressi dei giardini di Kensington, essa non è più solo la dimora delle fate e degli uccelli prima che diventino bambini, ma anche una sorta di limbo in cui vengono spediti i bambini piccoli caduti dal passeggino e dimenticati dai genitori (i cosiddetti lost boys). Grazie al recupero di alcune suggestioni già presenti in The boy castaways, inoltre, Never Land diviene un vero e proprio microcosmo connotato anche in senso esotico, abitato da varie specie di animali e da gruppi di persone in lotta tra di loro per il controllo del territorio.

Un’illustrazione di Francis Donkin Bedford per Peter and Wendy (1911).


Le radici biografiche di Peter Pan

Riepilogata la storia testuale del mito di Peter Pan negli scritti di Barrie, da The boy castaways al romanzo Peter and Wendy, per completare l’indagine sulle sue origini occorre senz’altro fare riferimento alle vicende biografiche dell’autore, nella convinzione che esse contribuirono al formarsi di quella visione nostalgica ed utopica dell’infanzia che trova espressione nelle opere considerate. Barrie – si è ricordato in apertura – dichiarò di essere debitore ai fratelli Llewelyn Davies per l’ispirazione della storia, e ancora prima di rivolgere ai bambini la lunga dedica che accompagnava la prima pubblicazione in volume della commedia (1928) battezzò coi loro nomi alcuni dei suoi personaggi principali (Peter, i fratellini Michael e John e il loro padre George). Nei giardini di Kensington l’autore vide per la prima volta i bambini, ed è probabile che l’incontro l’abbia ispirato ad elaborare una mitologia dell’infanzia incentrata su quel luogo. L’idea di un periodo prenatale in cui i bambini sono uccelli, prima di essere trasposta in The little white bird, fu concepita da Barrie per intrattenere con i suoi racconti i fratelli più grandi, George e John, all’epoca in cui Peter era ancora un bambino molto piccolo: Barrie raccontava che le finestre della loro casa avevano le sbarre per impedire al piccolo di fuggire in volo. Al di là dell’ispirazione fornita per il nome, in ogni caso, il carattere del Peter Pan della commedia non sembra essere stato modellato su Peter, ma piuttosto su George e Michael.

J. M. Barrie a sei anni (1866).
È possibile supporre che il lato giocoso, avventuroso e spensierato dell’infanzia espressa nelle opere di Barrie rifletta in primo luogo la sua frequentazione coi fratelli Llewelyn Davies e alcune esperienze condivise ai tempi del collegio con John McMillan – il più caro amico della sua infanzia – nelle campagne della Scozia meridionale, mentre il suo lato oscuro e nostalgico abbia origini ancora più antiche nella storia personale dell’autore. L’idea di un bambino destinato a rimanere tale per l’eternità senza poter mai crescere, in particolare, rimanda ad una tragica esperienza familiare di cui James fu testimone ad appena sei anni di età, nel 1867, quando il fratello maggiore David cadde coi pattini su un lago ghiacciato e morì senza aver compiuto i quattordici anni. La madre, che nutriva per David una particolare predilezione, rimase sconvolta dalla sua morte e non riuscì mai a superarne il dolore, lenito solo dalla consolazione che le dava pensare a David come ad un eterno bambino a lei legato. James, d’altra parte, fece di tutto per colmare il vuoto lasciato dal fratello e arrivò persino ad indossarne i vestiti nella speranza di conquistare l’affetto della madre, ma per tutta la sua infanzia non poté che vivere all’ombra della morte di David.

Proprio al rapporto di James bambino con la madre risalirebbe poi il senso di esclusione ed il tormento di un’infanzia mutilata per il rifiuto o l’abbandono della figura materna che percorre i testi di Peter Pan, ed è alla base di un’ossessiva quanto impossibile ricerca comune a molti degli abitanti di Never Land, dal momento che non solo Peter e i lost boys, ma anche Captain Hook e la sua ciurma di pirati desiderano fare di Wendy la loro madre. La devozione che Barrie provò per tutta la vita nei confronti della madre è testimoniata dall’intensa biografia che le dedicò ad un anno dalla morte, Margaret Ogilvy (1896), resoconto prezioso perché alla memoria della figura materna accompagna i ricordi di James bambino. Un passo significativo del libro, in particolare, accenna con le seguenti parole a quella paura di crescere che costituisce un tratto fondamentale della psicologia di Peter Pan e del suo autore, di cui più volte si è riconosciuta la natura psichica del puer aeternus: “L’orrore della mia infanzia fu che io sapevo sarebbe arrivato un momento in cui avrei dovuto anch’io abbandonare i giochi, ma non sapevo come fare (questa sofferenza ancora mi ritorna nei sogni, quando mi sorprendo a giocare a biglie e mi osservo con fredda disapprovazione). Io sentivo che avrei dovuto continuare a giocare di nascosto, e dividevo quest’ombra con lei, quando mi raccontava la sua esperienza […]”. Alla paura di crescere, che in Peter Pan diventa rifiuto e impossibilità, si connette il desiderio di restare il più a lungo possibile all’interno del cerchio magico dell’infanzia, in quell’età ideale e idealizzata del gioco irresponsabile, dell’avventura, della comunione con la natura e dell’affetto materno che per la fragilità del suo incanto è assimilata ad un tesoro da custodire con ogni cura, posto che – come scrisse Barrie – “niente di ciò che accade dopo i dodici anni importa davvero”.

Un’illustrazione di Arthur Rackham per Peter Pan in Kensington Gardens (1906).


Le radici culturali di Peter Pan

Accanto alle vicende biografiche, incisive soprattutto in termini psicologici, altre fonti indirette che contribuirono all’elaborazione dell’immaginario di Never Land e della figura di Peter Pan possono essere analizzate collocando l’opera di Barrie all’interno di un più ampio contesto culturale che abbraccia le più svariate suggestioni, spaziando dalle raccolte di fiabe ai romanzi di avventura, dalla poesia romantica alla riscoperta di tradizioni folkloriche e di antiche mitologie pagane.

La storia di Peter Pan si inserisce anzitutto nella tradizione delle fairy tales (fiabe) come racconto incentrato su avvenimenti e personaggi fantastici, e pur contaminandone il modello con altre influenze (prima tra tutte quella del romanzo di avventura e delle storie di pirati) riflette in modo specifico il legame del genere col folklore popolare attraverso la descrizione di un mondo incantato e notturno popolato da fate e folletti (fairies). L’influsso di questa tradizione è evidente soprattutto nell’immaginario di Never Land, e del resto il suo fascino coinvolge anche lo stesso Peter Pan, abituato ad affacciarsi alle finestre delle case per ascoltare le fiabe che le madri raccontano ai bambini, ed i lost boys, che prima di dormire chiedono a Wendy di raccontare la storia di Cenerentola (fiaba conosciuta nelle varianti scritte di Basile, Perrault e dei fratelli Grimm, cui accennava già un passo di The little white bird). Oltre ad alcune figure tipiche dell’immaginario fiabesco, confluite nella letteratura per l’infanzia dal recupero delle antiche tradizioni folkloriche (luoghi magici, incantesimi, esseri fatati), la storia di Peter Pan presenta anche diversi motivi caratteristici confrontabili con alcune credenze popolari scozzesi: il legame dei fairies coi bambini, che sarebbero i soli in grado di vederli; il motivo del rapimento di bambini da parte dei fairies; una confusione tra il regno incantato e l’aldilà dei morti, tale per cui i fairies si identificherebbero con gli spiriti dei defunti.

Joshua Reynolds, The Puck (1789)
Richard Dadd, Puck and the fairies (1841)

La figura di Peter Pan presenta anche alcune analogie con un personaggio tipico del folklore inglese, uno spiritello o folletto dispettoso e dai connotati demoniaci associato al regno dei fairies e chiamato Robin Goodfellow o Puck, la cui più nota comparsa risale alla commedia di Shakespeare A Midsummer Night’s Dream (1595 ca). Se in alcune raffigurazioni, soprattutto le più antiche, la creatura è rappresentata con tratti da fauno e coi piedi caprini, a partire dalla fine del XVIII la sua iconografia si fissa nei dipinti di Johann Heinrich Füssli e Joshua Reynolds – tra gli altri – sull’immagine di un bimbo di pochi anni. Tale iconografia è ripresa da Richard Dadd nelle illustrazioni per la ballata Robin Good-Fellow, contenute in The Book of British Ballads (1842), e soprattutto in un dipinto intitolato Puck and the fairies (1841), dove la raffigurazione di Puck bambino, seduto su un fungo e circondato da un girotondo di fate danzanti, mostra una notevole somiglianza con il Peter Pan in Kensington Gardens illustrato da Arthur Rackham. I rapporti di analogia iconografica funzionarono anche in senso inverso, se nel 1908, illustrando A Midsummer Night’s Dream, Rackham raffigurò Puck come uno spiritello svolazzante, vestito di verde e dall’aspetto di fanciullo, proprio come il Peter Pan della commedia – mentre aveva in precedenza rappresentato lo stesso personaggio, nel Puck of Pook’s Hill (1906) di Kipling, come un anziano folletto.

A. Rackham, Peter Pan 
in Kensington Gardens (1906)
A. Rackham, A Midsummer 
Night’s Dream (1908)

La figura di Peter Pan è poi connessa per molti aspetti alla divinità greca cui fa esplicito riferimento il suo nome. Come il dio Pan, creatura per metà umana e per metà caprina nata da Ermes e dalla ninfa Driope, anche Peter Pan ha una natura ibrida e duplice (in The little white bird è definito mezzo bambino e mezzo uccello), è associato alla natura e alle foreste ed ha subìto un precoce abbandono da parte della madre. Alcuni attributi di Peter Pan – il flauto e la capra che cavalca – richiamano immediatamente l’antica divinità greca; altri motivi legati alla sua figura, come ad esempio il ruolo di oscuro messaggero nelle case dei bambini o quello di psicopompo incaricato di accompagnare i bambini morti verso l’aldilà o verso Never Land, testimoniano inoltre di una sua natura ermetica. 

L’influenza di Pan sull’immaginario dell’opera si inscrive in un più ampio orizzonte letterario inglese che ha le sue origini in età romantica, quando in coincidenza di un rinnovato interesse per le antiche mitologie pagane il dio venne innalzato dai poeti a simbolo ideale della natura e del suo fascino di volta in volta sublime, misterioso e idilliaco, contrapposto a tutto ciò che di negativo suscitava l’immagine di un mondo urbano sempre più industrializzato. Nei versi e negli inni di poeti come Wordsworth, Keats e Shelley (il quale compare anche in The little white bird, nelle vesti di solitario frequentatore dei giardini di Kensington), la divinità è comunemente associata alle campagne inglesi, al riposo e alla tranquillità rurale; nei componimenti di epoca vittoriana la sua influenza si estende poi ai giardini della città, come rivela una poesia di Matthew Arnold, Lines written in Kensington Gardens (1852), anticipatrice dello spirito dell’opera di Barrie per aver tematizzato non solo il legame tra Pan e i giardini di Kensington, ma anche il motivo dei giochi infantili (“Sometimes a child will cross the glade/ to take his nurse his broken toy”).

Il carattere mitologico e archetipico della vicenda di Peter Pan può essere inoltre letto in generale nel richiamo ad un motivo di antichissima memoria quale quello del fanciullo orfano, o nella riproposizione di una figura perturbante per certi versi analoga a quella del trickster o briccone divino. Il rilievo culturale dell’opera di Barrie, infine, può essere indagato anche nella prospettiva di un’idea dell’infanzia quale epoca aurorale, felice ed autentica, in opposizione al mondo civilizzato degli adulti. A partire da queste considerazioni è lecito pensare alla storia di Peter Pan come all’espressione moderna di un mito duplice e paradossale, le cui origini si perdono nella notte dei tempi: un nuovo sogno dell’età dell’oro, accompagnato dalla complementare nostalgia del paradiso perduto.




Consigli di lettura

Una buona opzione per accedere al mondo di Peter Pan è il volume J. M. Barrie, Peter Pan, Torino, Einaudi, 2008, che contiene entrambi i testi in prosa “canonici” (Peter Pan in Kensington Gardens e Peter and Wendy) nella traduzione italiana di Milli Dandolo, uno scritto di Giorgio Manganelli e un’introduzione di Luca Scarlini. Al medesimo volume si rimanda anche per una bibliografia dei testi critici su Peter Pan e delle biografie su Barrie (tra cui si segnala in particolare A. M. Birkin, James Barrie and the Lost Boys, London, Constable, 1979). Per uno studio dell’immaginario delle fairy tales che inquadri l’opera di Barrie all’interno della tradizione della letteratura per l’infanzia inglese si veda H. Carpenter, Secret Gardens. A Study of the Golden Age of Children’s Literature, London, Allen & Unwin, 1985. Per un approfondimento sul folklore scozzese dei fairies si segnala l’opera di Robert Kirk, The Secret Commonwealth, scritta nel 1691 e disponibile in traduzione italiana nel volume Il regno segreto, a cura di M. M. Rossi, Milano, Adelphi, 1980. Per uno studio generale e articolato relativo a temi psicologici legati alla figura di Peter Pan, ma non specificamente dedicato all’opera di Barrie, si legga A. Carotenuto, La strategia di Peter Pan, Milano, Bompiani, 1995.


Bibliografia

J. M. Barrie, Margaret Ogilvy, London, Hodder & Stoughton, 1896 [trad. it.: Id., Margaret Ogilvy e Ai cinque, a cura di C. Carboni, San Benedetto del Tronto, I Luoghi della Scrittura, 2014].
P. L. Davies (J. M. Barrie), The boy castaways of Black Lake island, London, J. M. Barrie, 1901.
J. M. Barrie, The little white bird, London, Hodder & Stoughton, 1902 [trad. it.: Id., L’uccellino bianco, a cura di L. Pecchi, Roma, Nobel, 2011].
J. M. Barrie, Peter Pan in Kensington Gardens, London, Hodder & Stoughton, 1906 [trad. it.: Id., Peter Pan nei giardini di Kensington, intr. e trad. di R. Gorgoni, Milano, Rizzoli, 1981].
J. M. Barrie, Peter and Wendy, London, Hodder & Stoughton, 1911 [trad. it.: Id., Peter e Wendy, Pordenone, Studio Tesi, 1991].
J. M. Barrie, Peter Pan, or The boy who would not grow up, London, Hodder & Stoughton, 1928 [trad. it.: Id., Peter Pan. Il bambino che non voleva crescere, Milano, Feltrinelli, 1992].

R. Gorgoni, Introduzione, in J. M. Barrie, Peter Pan nei giardini di Kensington, Milano, Rizzoli, 1981.
C. Pagetti, Introduzione, in J. M. Barrie, Peter e Wendy, Pordenone, Studio Tesi, 1991.
F. M. Cataluccio, Immaturità. La malattia del nostro tempo, Torino, Einaudi, 2004.
G. Mochi, Introduzione, in J. M. Barrie, Peter Pan nei Giardini di Kensington, Venezia, Marsilio, 2007.
L. Scarlini, Non essere: le avventure di Peter Pan nel paese del mai più, in J. M. Barrie, Peter Pan, Torino, Einaudi, 2008.