27/12/17

[Soffitte, Altreletture] Miscellanea proto-fantascientifica


[L’articolo contiene collegamenti a materiali d’archivio, ma anche segnalazioni di nuove uscite editoriali e di articoli tratti dal web. Per la sua natura ibrida è stato incluso in entrambe le rubriche del blog, Soffitte e Altreletture.]

Alcune delle suggestioni che più di frequente hanno attraversato gli articoli di questo blog sono connesse alla fantascienza e alla futurologia d’epoca, ovvero a un immaginario sviluppatosi all’incirca tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. Se ne è parlato ad esempio in rapporto a una serie di antiche cartoline francesi commentate da Isaac Asimov, alla nascita dell’immaginario robotico in Giappone, ad alcuni racconti di Emilio Salgari, o ancora al tema delle macchine bizzarre nell’illustrazione satirico-umoristica, nel fumetto e soprattutto nel cinema di animazione statunitense della golden age.

Con questo articolo vorrei provare a raccogliere altri spunti che nel corso degli anni si sono accumulati in modo disordinato tra le cartelle del mio computer, senza mai trovare spazio sulle pagine del blog. L’occasione decisiva per la loro raccolta consiste nel recente annuncio di due novità editoriali, una italiana e l’altra francese. Come si vedrà tra poco, si tratta di due opere incredibilmente affini l’una all’altra, e al massimo grado eloquenti in merito al tipo di immaginario popolare proto-fantascientifico che ha caratterizzato i decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento. A seguire, un breve excursus sulla futurologia di Antonio Rubino, che di quell’epoca fu in Italia uno dei più geniali illustratori per l’infanzia (e non solo).


I folli viaggi spaziali di Yambo
Le possibilità di osservare e studiare il modo in cui persone vissute cento e più anni fa immaginavano i decenni a venire, assecondando, assieme alla curiosità, ciò che si potrebbe definire la nostalgia di un futuro mai avveratosi, sono oggi amplificate grazie al lavoro di archiviazione e digitalizzazione di fondi appartenenti a biblioteche, università e istituzioni di diversi paesi, ma anche a un numero ben più esiguo di case editrici che hanno deciso di puntare al recupero di opere inconsuete e marginali, spesso dimenticate dal grande pubblico, con l’animo di chi dissotterra dopo molti anni un tesoro e ne vuole condividere la scoperta.

Un caso di rilievo nel panorama italiano è quello della casa editrice romana Cliquot, che dopo aver inaugurato la collana Fantastica con una raccolta di racconti fantascientifici di Emilio Salgari propone ora, come secondo volume della stessa collana, una bella riedizione de Gli esploratori dell’infinito (1906) di Yambo, alias Enrico Novelli. L’autore, per chi non lo conoscesse, fu uno scrittore, illustratore, giornalista e drammaturgo tra i più prolifici della sua epoca (nato a Pisa nel 1876, morì a Firenze nel 1943), ed è al giorno d’oggi ricordato in particolare come uno degli esponenti di spicco della letteratura per ragazzi e popolare di matrice avventurosa, fantastica e umoristica. Muovendosi nel solco della tradizione salgariana, ma facendo proprie e rielaborando anche suggestioni provenienti dai romanzieri francesi (Jules Verne, Camille Flammarion e Albert Robida) e dall’ambiente futurista, Yambo diede alle stampe e illustrò una serie di opere incentrate su diverse tematiche che sarebbero poi divenute tipiche del genere fantascientifico, ed è per questo motivo considerato uno dei precursori della fantascienza letteraria italiana.

Le copertine delle due versioni – classica e deluxe – in cui è disponibile il volume Cliquot.

Gli esploratori dell’infinito (1906) appartiene al filone dei viaggi spaziali, riproposto da Yambo anche in altri titoli narrativi come Dalla terra alle stelle (1890, pubblicato a soli quattordici anni!), La colonia lunare (1908) e Il re dei mondi (1910), ma anche divulgativi come Viaggi e avventure attraverso il tempo e lo spazio (1933). Assieme ai “toni irrazionali e scanzonati della favola” – cito liberamente dal comunicato di Cliquot –, il romanzo presenta nei testi e nelle immagini la ricchezza e la raffinatezza tipica del gusto Liberty di inizio Novecento; la sua, osserva Gianfranco de Turris nella prefazione al volume, è “una fantascienza infiocchettata, arzigogolata, bizzarra ed elegante al contempo, simbolica negli scritti e nelle illustrazioni”. 

La trama prende il via quando un giovane giornalista (Giorgio Halt) viene convinto da un vecchio miliardario filantropo (Harry Stharr) a trasferirsi sul satellite della Terra appena scoperto, Cupido, in modo da poter vivere in solitudine lontano dal trambusto del mondo. Ciò che doveva essere un viaggio tranquillo prende però una brusca svolta non appena Cupido si stacca dall’orbita terreste, e si trasforma così in un’avventura schizofrenica in giro per la galassia, “fra inattesi e quasi fatali incontri con banditi, elettrizzanti conoscenze aliene, curiose tribolazioni meteorologiche, alcolici piaceri e singolari festeggiamenti di Capodanno”. Particolarmente interessante e vivida è la rappresentazione dei cosiddetti “marziali” (così Yambo chiama gli alieni), descritti mentre sbarcano su Cupido, uscendo dalla loro astronave di metallo, come mostriciattoli minuscoli dall’enorme testa e dagli occhi globiformi, simili a polipi verdi: “quelle orride chimere saranno state alte ottanta centimetri: non più. Le gambe avevano magre e piccolissime, le braccia corte e senza piegatura al gomito. Ondeggiavano nell’aria, talvolta, come anguille, voltolandosi in tutti i sensi. Quelle braccia assurde finivano in due tentacoli, di color rosso vivo”.

Yambo, Gli esploratori dell’infinito (1906)


Gli universi fantastici di G. Ri
Le edizioni BnF (Bibliothèque nationale de France) hanno pubblicato da poco Dans l’infini et autres histoires, un volume di grande formato (28x37 cm) che raccoglie tre storie di G. Ri (pseudonimo di Victor Mousselet), pioniere della fantascienza a fumetti attivo nel primo ventennio del Novecento. Le storie in questione, apparse sul settimanale illustrato Les Belles Images, sono Dans l’Infini (1906-1907), Le Savant Diplodocus à travers les siècles (1912) e Dans la planète Mars (1914-1915). Di tutte e tre le storie, come di altre decine di serie e tavole che G. Ri pubblicò su riviste dell’epoca (oltre a Les Belles Images, significativi i suoi contribuiti per Jeunesse Illustrée), è possibile visualizzare una copia ad alta risoluzione sulla biblioteca digitale Gallica.

G. Ri, Le Savant Diplodocus à travers les siècles (Les Belle Images, 25/7/1912)

G. Ri, Dans l’Infini (Les Belle Images, 20/12/1906) e Dans la planète Mars (Les Belle Images, 20/8/1914)

Praticamente sconosciuto ai più, salvo per una ristretta minoranza di cultori, collezionisti e storici del genere, G. Ri fa parte di un’eterogenea famiglia di illustratori e fumettisti “visionari” che in quegli anni si accostavano al nuovo linguaggio del fumetto adottando con estrema disinvoltura e libertà espressiva un immaginario fantastico, bizzarro e paradossale. Sulle pagine di questo blog ne abbiamo individuato alcuni poco noti, come l’italo-brasiliano Max Yantok, lo statunitense Walt McDougall e il britannico Herbert Crowley (i cui lavori sono stati finalmente raccolti da Justin Duerr in The Temple of Silence, un sontuoso volume previsto per il 2018 e finanziato grazie a una campagna di crowdfunding).

Osservando la produzione di G. Ri è comunque impossibile non rilevare l’appartenenza a una specifica linea francese inaugurata dai romanzi di Jules Verne – in particolare dalla serie dei viaggi straordinari che comprende Cinq semaines en ballon (Cinque settimane in pallone, 1863), De la Terre à la Lune (Dalla Terra alla Luna, 1865) e Vingt mille lieues sous les mers (Ventimila leghe sotto i mari, 1870) – e proseguita tra gli altri da Albert Robida, autore di Voyages très extraordinaires de Saturnin Farandoul (Viaggi straordinarissimi di Saturnino Farandola, 1879) e di una fortunata trilogia futuristica (Le Vingtième Siècle, 1883; La Guerre au vingtième siècle, 1887; Le Vingtième siècle. La vie électrique, 1890). Assieme all’influenza di questo filone fantastico e fantascientifico, a caratterizzare le storie a vignette di G. Ri (sempre accompagnate da didascalie narrative, ma bellissime anche solo a vedersi a colpo d’occhio) è sempre una vena umoristica che si dimostra assolutamente congeniale per la rappresentazione di personaggi eccentrici e pianeti lontani abitati da esseri stravaganti, così come per l’invenzione di scenari futuristici. L’autore, del resto, collaborò anche con testate umoristiche e satiriche come La Caricature, Le Rire, Le Pêle-Mêle e Le Bon Vivant, e modellò il suo curioso pseudonimo sul suono del motto “J’ai ri”, ovvero “Ho riso”.

G. Ri illustrò diverse tavole della serie Les inventions du Pêle-Mêle, apparse sull’omonimo settimanale umoristico a partire dal 1897. Questa illustrazione a doppia pagina, intitolata Grand Restaurant Automatique e pubblicata su Le Pêle-Mêle il 3/3/1901, raffigura un ristorante completamente automatizzato, dove qualsiasi lavoro è effettuato da macchine e ogni cliente è fatto accomodare su unapposita poltrona a rotelle.

Per chi volesse approfondire la conoscenza dell’autore, posto che le pagine a lui dedicate sulla rete si contano sulla punta delle dita, consiglio un articolo che indaga il suo immaginario nell’ambito della proto-fantascienza nella bande dessinée d’epoca (Bande dessinée et SF pré-1945: G.Ri et la fantaisie scientifique). Sul tema del viaggio fantastico-umoristico, la cui tradizione fumettistica risale a Rodolphe Töpffer, è disponibile anche un articolo di Camille Filliot originariamente pubblicato in inglese sulla rivista SIGNs (Studies in Graphic Narrative, 2, dicembre 2011): L’invitation au voyage dans les premières bandes dessinées d’expression française.


Antonio Rubino futurologo
L’interesse di Antonio Rubino per tematiche legate al mondo della scienza, del futuro e della fantascienza emerge da diverse serie a vignette e storie illustrate sulle quali lavorò nel corso della sua lunga carriera. Gli esempi sono davvero numerosi: dalle illustrazioni per Pippo Sizza aviatore, romanzo su un viaggio spaziale scritto da Giuseppe Fanciulli (1910), all’avventura lunare di Viperetta (1919), dal racconto Un bimbo radioattivo (comparso nel 1932 sul Corriere dei Piccoli) fino all’ultima delle sue serie a vignette, pubblicata sullo stesso periodico dal 1955 al 1956, ambientata nei laboratori di una centrale atomica e dedicata alle avventure dello scienziato Ilario Din e dei suoi figlioletti Dino e Dinora, dove l’autore immaginò un futuro sereno e giocoso, lontano dall’incubo di Hiroshima, in cui la potente energia fosse impiegata per scopi virtuosi al servizio dell’umanità.

Antonio Rubino, Ilario, Dino e Dinora Din (Corriere dei Piccoli, 28/8/1955)

Il campo della futurologia ispirò a Rubino anche una serie di racconti fantascientifici corredati da sue illustrazioni e intitolati Le cronache del futuro, molti dei quali comparvero sempre sul Corriere dei Piccoli tra il 1932 e il 1934. Citando le parole con cui nel 1938 presentò invano la raccolta a Ugo Ojetti, allora presidente della casa editrice Bemporad, il libro tratta “di argomenti che si svolgeranno dal 2000 al 4000”, e per questo motivo ha “il privilegio più unico che raro di conservarsi attuale e moderno per la durata di oltre duemila anni”. Ora i racconti si possono leggere nel volume Fiabe del tempo futuro (Stampa Alternativa, 2012), corredati da un’attenta ricostruzione del progetto, nonché dei molteplici legami di Rubino con l’immaginario fantascientifico, a cura di Renato Giovannoli.

Dieci anni prima della stesura di questi racconti, uno dei più antichi e curiosi esperimenti di futurologia da parte di Rubino fu una serie di storie a vignette pubblicata sulle pagine del Corriere dei Piccoli nel 1923. Ambientata in un’avveniristica Città della Scienza “tutta fili, tutta impianti / tutta macchine giganti”, dove il mito del progresso sembra essersi realizzato in ogni aspetto della vita quotidiana, la serie segue le imprese dello zelante professor Pomponio, intento a inculcare il sapere nei cervelli dei suoi alunni per mezzo di appositi strumenti didattici e pedagogici (un imbuto che elargisce premi ai buoni studenti, un sedile “a percussori” per punire i cattivi, un tornio per “acutizzare” il talento degli ottusi, dischi elettrizzati per mantenere desta l’attenzione dei distratti, una pompa che “gonfia i piccoli studenti / di scientifici argomenti”). Tutto va per il meglio finché a Pomponio non viene affidato Tito Tonto, un ragazzino svogliato nei confronti del quale nessun dispositivo tecnologico si dimostra efficace. Calandosi nei panni dell’inventore, Pomponio decide così di costruire un automa di nome Dinamello a cui delegare la cura e l’istruzione del discolo, per quanto il compito si riveli presto ben più difficile del previsto.

Antonio Rubino, Pomponio, Tito Tonto e Dinamello (Corriere dei Piccoli, 29/4/1923)

Antonio Rubino, Pomponio, Tito Tonto e Dinamello (Corriere dei Piccoli, 6/5/1923 e 10/6/1923)

Pubblicata per circa sette mesi, da fine aprile a inizio dicembre del 1923, per un totale di ventitré storielle, la serie non è tra le più celebri di Rubino, anche se agli occhi degli storici risulta senz’altro interessante a causa del personaggio di Dinamello, considerato il primo robot del fumetto italiano (dodici anni dopo sarebbe stata la volta del Robottino di Yambo, comparso nel 1935 sul settimanale I tre porcellini). A vent’anni di distanza dalla loro prima apparizione, alcune avventure di Pomponio, Tito Tonto e Dinamello vennero poi riprese e ripubblicate in un formato diverso all’interno di tre volumetti della collana “L’albo dei piccoli” edita da Alpe, oggi molto ricercata dai collezionisti: Tito Tonto e Dinamello (1943), Quel tonto d’un Tito… (1943) e Dinamello (1943).

Antonio Rubino, Dinamello (1943)