26/08/15

«Hatschi Bratschi’s Luftballon» di Franz Karl Ginzkey


I sogni di molti bambini germanofoni all’inizio del XX secolo dovevano essere turbati dalla vista di un sole oscurato in pieno giorno dalla sagoma di una mongolfiera rossa, a bordo della quale un’inquietante figura col capo avvolto da un turbante li fissava dalla lente di un cannocchiale aspettando il momento propizio per portarli via con sé. L’immagine – mirabilmente ambigua e perturbante, perché sospesa tra la promessa della libertà e la minaccia del rapimento – è tratta da Hatschi Bratschi’s Luftballon (La mongolfiera di Hatschi Bratschi, 1904), libro illustrato per l’infanzia di Franz Karl Ginzkey considerato oggi in Austria come uno dei più memorabili (e controversi) del genere, nonché un oggetto di valore quasi inestimabile per i collezionisti.

La storia, come in molti libri per bambini dell’epoca, prende le mosse da una disobbedienza: incurante degli ammonimenti della madre che lo esorta a rimanere tra le mura domestiche, il piccolo Fritz si allontana da casa e corre libero per i campi, finché non viene raggiunto dalla mongolfiera del turco Hatschi Bratschi, un temibile spauracchio mediorientale costantemente a caccia di bambini da rapire e mangiare.

Hatschi Bratschi’s Luftballon. Illustrazione di Ernst von Dombrowski
tratta dalla terza edizione del libro (1933).

Catturato, il bambino sembra ormai dover disperare della sua sorte, se non che un imprevisto lo salva dalle grinfie del turco: mentre la mongolfiera sorvola un paese, Hatschi Bratschi si sporge col cannocchiale alla ricerca di altri bambini, perde l’equilibrio e precipita in un pozzo. Le avventure del piccolo Fritz, in ogni caso, sono tutt’altro che finite: presto il bambino, ancora a bordo della mongolfiera, si trova a fronteggiare una terribile tempesta, ed in seguito viene adocchiato da una strega malvagia. Il viaggio proseguirà poi per valli alpine, montagne, ghiacciai; Fritz sorvolerà l’Italia e in mare aperto si imbatterà in una piccola isola africana abitata da una tribù di cannibali, prima di giungere in un vasto deserto ed infine in Turchia alla dimora di Hatschi Bratschi, dove i servi di quest’ultimo lo tratteranno da padrone e Fritz riuscirà a liberare gli altri bambini tenuti prigionieri. Alla fine, un ultimo viaggio in mongolfiera riporterà Fritz e i suoi compagni alle loro case, dove verranno accolti a braccia aperte dalle rispettive famiglie.

Hatschi Bratschi’s Luftballon. Illustrazioni di Ernst von Dombrowski
tratte dalla terza edizione del libro (1933).

Gran parte dell’interesse di questo libro illustrato, se si esclude la suggestiva trama e la buona qualità affabulatoria (diversi suoi lettori, a distanza di molti decenni, ne ricordano ancora a memoria alcuni versi), deriva dalla natura controversa di alcuni elementi narrativi e da una storia editoriale conseguentemente improntata a successive revisioni testuali e figurative rispetto all’opera originaria. Gli elementi narrativi controversi riguardano essenzialmente le figure del cattivo Hatschi Bratschi e della tribù di cannibali, entrambe connotate da una rappresentazione caricaturale e stereotipata molto lontana dal “politicamente corretto”, cui non sono state risparmiate nel tempo le accuse di xenofobia e razzismo.

Nella prima edizione, pubblicata nel 1904 dall’editore Seemann (Berlino-Lipsia) e illustrata da M. v. Sunnegg (Erich Mor von Sunnegg und Morberg), il cattivo Hatschi Bratschi era esplicitamente identificato come un famelico turco mangia-bambini, mentre il popolo africano in cui si imbatte Fritz nel corso del suo viaggio veniva chiaramente rappresentato come una tribù selvaggia di cannibali che si arrampicano sulle palme “come delle scimmie”. Le successive tre edizioni (la seconda, edita a Vienna nel 1922 da Rikola, la terza, edita a Salisburgo nel 1933 da Anton Pustet, e la quarta, edita a Vienna nel 1943 da Wiener) conservarono il testo originale accompagnandolo però con nuove illustrazioni (rispettivamente ad opera di Erwin Tintner, Ernst von Dombrowski e Grete Hartmann). Le illustrazioni di Grete Hartmann per l’edizione del 1943, in particolare, rinnovarono la figura di Hatschi Bratschi: un tempo cupo, accigliato e minaccioso, il suo aspetto divenne di colpo tondeggiante e buffo.

Hatschi Bratschi’s Luftballon. Da sinistra: l’edizione del 1904, quella del 1922 e quella del 1933.

L’edizione del 1943, ristampata più volte negli anni ‘50, introdusse le prime varianti testuali legate alla figura di Hatschi Bratschi: l’epiteto “il turco” divenne semplicemente “il mago”, e la sua località di provenienza passò dal “Paese dei Turchi” (“Türkenland”) a un generico “Oriente” (“Morgenland”). Nel decennio successivo, con le edizioni viennesi pubblicate da Forum nel 1960, nel 1962 e nel 1968 (la prima illustrata da Wilfried Zeller-Zellenberg sul modello dei disegni della Hartmann, la seconda con disegni originali dello stesso Zeller-Zellenberg, la terza illustrata da Rolf Rettich), il testo della storia continuò a essere rimaneggiato con l’eliminazione dell’episodio dei cannibali, sostituiti da un meno problematico branco di scimmie dispettose.

L’aspetto di Hatschi Bratschi, parallelamente, si stabilizzò sul modello della versione illustrata di Grete Hartmann, presentando un mago paffuto e cicciotto caratterizzato non più dal turbante ma da un simpatico berretto a punta, e che alla lunga barba (segno distintivo di tanti orchi) preferisce dei baffi piuttosto ridicoli curvati all’insù.

Hatschi Bratschi’s Luftballon. Da sinistra: l’edizione del 1943, quella del 1962 e quella del 1968.

La successione cronologica delle copertine del libro registra a sua volta una tendenza all’abbandono di figurazioni che lascino trasparire il carattere inquietante della storia in favore di immagini più neutre e rassicuranti. Posto che una peculiarità comune a tutte le copertine è l’assoluta centralità del cattivo, la copertina della prima edizione è tanto più icastica ed impressionante nella misura in cui, nel mostrare fianco a fianco l’orco e il bambino, evidenzia non solo la differenza di corporatura che intercorre tra i due ma anche il senso di minaccia fisica che incombe sul secondo, in lacrime e relegato nell’angolo in basso alla pagina, letteralmente sovrastato dalla figura nemica e dal suo riso sardonico.

Le edizioni successive presentano sulla copertina la sola figura di Hatschi Bratschi, ed in accordo con le relative illustrazioni adottano uno stile figurativo visibilmente meno realistico e via via più stilizzato (un espediente assai efficace per addolcire il carattere perturbante della storia, sottolineandone attraverso il disegno la natura fantasiosa). Se nelle copertine della seconda e della terza edizione l’aspetto di Hatschi Bratschi è comunque accigliato e minaccioso, dalla quarta edizione in poi si mostra addirittura gioviale e sorridente in concomitanza dell’utilizzo di uno stile più cartoonesco.

La caduta di Hatschi Bratschi nell’illustrazione di Ernst
von Dombrowski (a sinistra) e in quella di Grete Hartmann.

È facile constatare, valutandoli nel loro insieme, quanto gli effetti di questi interventi di revisione non si siano limitati alla censura di dettagli sconvenienti e potenzialmente offensivi in considerazione della mutata sensibilità culturale, ma abbiano finito per snaturare radicalmente lo spirito originario del libro assecondando in ultima analisi preoccupazioni di ordine pedagogico. L’obiezione fondamentale suscitata dal libro, in questo senso, riguarda il timore che la storia potesse apparire troppo spaventosa ed impressionante per un pubblico di bambini, e che dunque fosse opportuno edulcorarne gli aspetti più crudi a partire dalla resa figurativa.

Il rischio comune a tutte le operazioni di questo genere – e che nel caso di Hatschi Braschi’s Luftballon non si è certo saputo scongiurare – è la banalizzazione e l’appiattimento di quanto verosimilmente c’è di più stimolante per un bambino in un libro. La storia originaria, nel presentare in una nuova fantasiosa variazione l’antico archetipo del fanciullo fuggito (da casa), rapito (da un orco) e smarrito (nel cielo), non rinunciava in alcuna maniera (anche grazie alle discrete e raffinate illustrazioni di Sunnegg) ad illustrare e a comunicare al lettore il senso di paura, impotenza e rimorso provato dal piccolo protagonista, e lo faceva in modo tanto più credibile nella tacita convinzione che il bambino – l’eroe come il lettore – abbia bisogno di confrontarsi con queste emozioni negative per poterle dominare.


Un’ulteriore obiezione, connessa più specificamente alla spinosa questione dei modelli educativi, rileva e condanna nel libro i segni di quella pedagogia nera (Schwarze Pädagogik) che crede nella legittimità della violenza e della punizione. Il libro – potrà affermare qualcuno – è essenzialmente basato sul motivo del “delitto e castigo”, ed in generale veicola un messaggio repressivo e autoritario nei confronti del bambino. Un curioso dettaglio figurativo presente nella prima edizione del libro (e poi eliminato nelle successive riedizioni) confermerebbe in parte la liceità di questa tesi: l’illustrazione finale del ritorno a casa di Fritz, accolto a braccia aperte dalla madre, mostrava in primo piano, nascosta dietro la schiena del padre, una verga. L’accenno al tema della punizione corporale, d’altra parte, è talmente discreto ed ironico da rivelarsi tutt’altro che sintomatico.

Una lettura complessiva della storia, semmai, non può che smentire l’idea per cui essa riproporrebbe semplicemente la formula “delitto e castigo”: l’avventura di Fritz non si compendia nel cattivo esito della sua disobbedienza, ma mostra anche come il bambino, grazie ad una buona dose di fortuna, riesce a sventare felicemente i pericoli ed infine a trarre dalle avversità l’occasione di compiere un’azione virtuosa e altruistica, vale a dire la liberazione degli altri bambini tenuti prigionieri nel palazzo di Hatschi Bratschi. Dopo essere stato eletto dai servi di quest’ultimo come il loro signore e dopo avere riportato gli altri bambini alle loro famiglie, Fritz non torna certo a casa con la coda tra le gambe, pentito ed in preda al senso di colpa, ma piuttosto si congeda dalla mongolfiera e dai suoi lettori come un eroe vittorioso al termine di un viaggio memorabile.

In un articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine, Hans Magnus Enzensberger rievocava con amara nostalgia il fascino di questo strano libro scoperto a cinque anni, confessando di ricordarne a memoria i versi e rammaricandosi dell’indegno trattamento riservatogli dalla storia: “mutilato da editori buoni a nulla, sfalsato da cattivi illustratori, castrato da guardiani della pedagogia ed infine tolto di mezzo completamente, perché come ogni persona illuminata sa non esistono né streghe né maghi in Oriente e di certo non ci sono cannibali in Africa, e bisogna perciò stare molto attenti a che i bambini piccoli non si facciano idee sbagliate”. Infine, ribattendo all’obiezione secondo cui il libro sarebbe troppo spaventoso, Enzensberger rinnovava un’infallibile convinzione infantile: “più pericolosa si faceva l’avventura, più felicemente sarebbe finita”.



Links:
http://www.zeitlupe.co.at/hatschibratschi1.html
http://www.zeitlupe.co.at/hatschibratschi2.html
https://morgenwacht.wordpress.com/2013/09/15/hatschi-bratschis-luftballon/
http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/buecher/hans-magnus-enzensberger-mein-lieblingsbuch-hatschi-bratschi-1177899.html
http://www.ubs.sbg.ac.at/pdf/AC05781324.pdf



[Un grazie a Gaia Gambini, per l’aiuto con le traduzioni dal tedesco, e a Christian Haas, libraio alla Kinderbuch-Antiquariat di Halbgasse 28 (Vienna), per avermi fatto conoscere questo libro.]