08/03/15

«Max und Moritz», un cortometraggio dei fratelli Diehl


Tra il 1928 e il 1970 i fratelli Ferdinand, Hermann e Paul Diehl si affermarono come i principali produttori tedeschi di film a pupazzi animati (Puppentrickfilm), realizzandone svariate decine su temi tratti perlopiù da fiabe e raggiungendo la massima notorietà con la creazione del riccio antropomorfo di nome Mecki.

Al 1941 risale il loro cortometraggio Max und Moritz, fedele trasposizione cinematografica della più celebre storia illustrata di Wilhelm Busch (1865), ideale capostipite di una famiglia di narrazioni comiche incentrate sul tema “delitto e castigo” applicato ad una coppia di bambini pestiferi, a cominciare dalla striscia a fumetti The Katzenjammer Kids di Rudolph Dirks (1897). Le storie di Busch erano state già oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche tedesche nei primi decenni del XX secolo – compresa una serie di corti animati diretti da Otto Hermann nel 1913 e Max und Moritz von heute (1917), in cui recitava un sedicenne Curt Bois – ma mai erano state tradotte in un film a pupazzi animati.

Wilhelm Busch, Max und Moritz (1865)

Il cortometraggio dei fratelli Diehl segue con precisione la vicenda di Max e Moritz, articolata in sette scherzi che si concludono con la morte dei due discoli. Alla prima vittima, un’umile vedova proprietaria di tre galline e di un gallo, i monelli non si accontentano di uccidere i volatili predisponendo una trappola che li condanna ad una morte per impiccagione: quando la donna li sta cucinando sulla padella, con una canna da pesca calata dalla canna fumaria glieli sottraggono per mangiarseli con gusto. Soddisfatti per l’abbuffata, Max e Moritz architettano un nuovo scherzo ai danni di un sarto che vive vicino ad un fiume: segata via una parte del ponticello che attraversa il fiume, i monelli richiamano l’attenzione dell’uomo finché questo non li insegue e cade rovinosamente nell’acqua. Gli scherzi proseguono coinvolgendo un maestro e addirittura un loro zio: al primo Max e Moritz travasano nella pipa della polvere da sparo; al secondo riempiono il letto di enormi maggiolini. Attirati poi dal profumo di una panetteria, i due vi si intrufolano attraverso la canna fumaria: neri di fuliggine, provano ad arrampicarsi su una sedia per raggiungere dei brezel appena cotti, ma cadono in un impasto di farina e all’arrivo del panettiere vengono da lui impastati ed infornati. Sopravvissuti miracolosamente alla cottura, Max e Moritz riescono a liberarsi rosicchiando la crosta di pane che li avvolge e ancora una volta fuggono impuniti verso il granaio di un contadino, a cui si divertono a tagliare dei sacchi di grano. Il contadino, accortosi della loro presenza, li cattura entrambi in un grosso sacco e li consegna al mugnaio, che prontamente li introduce nella macina destinandoli ad una morte atroce: i due monelli, ridotti in briciole, sono così trasformati in mangime per le oche.


La storia, che si era aperta con l’uccisione e l’ingestione di volatili da parte di Max e Moritz, si chiude in modo circolare con i due monelli divenuti a loro volta cibo per volatili, secondo una stretta osservanza della legge del contrappasso e dell’espediente comico del capovolgimento dei ruoli. Il motivo dell’inghiottimento, del resto, percorre l’intera storia in modo ossessivo, nella sua forma più diretta di ingestione di cibo (le galline mangiano i pezzetti di pane; i monelli mangiano le galline; i monelli rosicchiano la crosta di pane; le oche piluccano i monelli ridotti in briciole), ma anche in forme indirette e metaforiche, per mezzo di un progressivo accumulo di scene che rinviano simbolicamente ad esso (i monelli entrano nella casa del maestro ed introducono della polvere da sparo nella sua pipa; i monelli riempiono alcuni sacchetti di carta di maggiolini e li introducono nella stanza da letto dello zio; i monelli, soprattutto, si introducono attraverso la canna fumaria nella panetteria, vengono avvolti dalla pasta ed infornati, ed infine sono catturati in un sacco ed introdotti nella macina, dalla quale non a caso fuoriescono triturati attraverso la bocca spalancata di una maschera grottesca).

La differenza principale tra la storia di Busch e la trasposizione dei fratelli Diehl risiede nella resa diversa degli ambienti: essenziale e limitata ai contorni delle figure nel caso di Busch; tridimensionale e maggiormente realistica per i fratelli Diehl, grazie ad un minuzioso lavoro di ricostruzione in miniatura delle scene e ad una cura particolare per gli effetti di luce ed ombra. Il tono grottesco della rappresentazione, d’altra parte, è conservato nelle movenze dei personaggi e nelle buffe espressioni di collera e sbigottimento che alterano i loro volti, spesso inquadrati in primo piano. Se già nelle immagini di Busch, sotto questo punto di vista, i personaggi somigliavano a marionette, non sembra insensata l’idea di trasformarli in veri e propri pupazzi animati grazie alla tecnica dello stop motion, con l’ambizione di conservare pure a distanza di quasi un secolo lo spirito comico, assurdo ed irriverente dell’opera originale.

[In data 8/3/2015 il cortometraggio è disponibile per la visione online a questo indirizzo, o in alternativa a questo.]
















I pupazzi originali creati dai fratelli Diehl e utilizzati per il film sono ora conservati al Deutsches Filmmuseum di Frankfurt am Main.